Con il co. 284 dell’art. 1 della L. 208/2015 (legge di stabilità 2016), sono state introdotte misure che disciplinano una forma di part time agevolato, consistente nella possibilità, offerta al datore di lavoro e al lavoratore del settore privato con contratto a tempo pieno e indeterminato che matura i requisiti per andare in pensione di vecchiaia entro il 31.12.2018, di modificare l’orario di lavoro svolto.
Operativamente, il contratto a tempo parziale potrà prevedere una variazione compresa tra il 40% e il 60% dell’orario pieno, e il lavoratore percepirà un importo – non imponibile sia ai fini fiscali che contributivi – corrispondente ai contributi pensionistici datoriali (23,81%) calcolati sulla parte di retribuzione non più dovuta per effetto della riduzione di orario.
Inoltre, il periodo in part time vale ai fini pensionistici (anche per la parte non lavorata) in quanto lo Stato coprirà con contributi figurativi la “retribuzione persa”.
La procedura per accedere al beneficio, risulta articolata in diverse fasi, anche se la più delicata consiste nella preventiva certificazione da parte dell’INPS dell’esistenza dei requisiti pensionistici.
Part time – Maturazione del requisito anagrafico per la pensione di vecchiaia entro il 2018 – Diritto al pensionamento – Novità della legge di stabilità 2016 (circ. Fondazione Studi Consulenti del lavoro aprile 2016 n. 7)
La Fondazione Studi Consulenti del lavoro, con la circ. 7/2016, in attesa di chiarimenti da parte dell’INPS sul c.d. “part time prepensionamento” previsto dalla L. 208/2015 (legge di stabilità 2016), ha precisato che:
– tale possibilità è accessibile da uomini e donne che questo mese abbiano almeno 63 anni e 11 mesi di età, cioè 20 anni di contributi al momento dell’accordo con l’azienda, nonché il compimento del requisito anagrafico per la pensione di vecchiaia entro il 2018;
– possono chiedere il part time anche i dipendenti di aziende private iscritti nella gestione ex INPDAP;
– i lavoratori “prepensionati” riceveranno uno stipendio comprensivo della contribuzione previdenziale a carico del datore di lavoro (pari al 23,81% della retribuzione ed esente da tasse e contributi) per la parte di orario non effettuata;
– ottenuta la certificazione INPS richiesta dalla procedura, che accerti il possesso dei requisiti di contribuzione e della maturazione di quello anagrafico entro il 2018, l’accordo di riduzione dell’orario sottoscritto dal lavoratore e dall’azienda dovrà essere trasmesso alla Direzione Territoriale del Lavoro e, solo una volta ottenuto il suo consenso o il silenzio assenso, anche all’INPS.
Modulo RW – Dossier titoli (circ. Agenzia Entrate 8.4.2016 n. 12)
La circ. Agenzia delle Entrate 8.4.2016 n. 12 (§ 14) sembra aver ha chiarito le modalità di compilazione del modulo RW per i dossier titoli. In un’ottica di semplificazione, si dovranno indicare solo il valore iniziale e il valore finale del dossier (oltre, naturalmente, ai giorni di possesso), non rilevando le variazioni intervenute durante l’anno e, soprattutto, non rilevando la composizione del dossier; non occorre, quindi, compilare tanti righi del modulo quante sono le attività finanziarie ricomprese nel dossier.
La circolare precisa, poi, che nel caso in cui le variazioni della composizione della relazione finanziaria siano riconducibili ad un apporto di capitale (versamento contanti, conferimento titoli, ecc.), il momento di avvenuta variazione dovrà essere considerato come discriminante temporale da cui far discendere un nuovo adempimento dichiarativo.
In questa circostanza, gli adempimenti dichiarativi previsti, seppur inerenti alla medesima relazione finanziaria, saranno duplici:
– si dovrà indicare in un rigo il valore iniziale e il valore finale di detenzione immediatamente antecedente al momento dell’apporto;
– in un nuovo rigo, successivamente, si dovrà indicare il valore iniziale di detenzione successivo al momento dell’apporto e il valore finale.
A tale scopo, e solo con riferimento al modello UNICO 2016, in via transitoria, il codice da utilizzare sarà il 14 “Altre attività estere di natura finanziaria”.
Fornitura e posa in opera di infissi – Applicazione dell’Iva con aliquota del 10% – Novità della legge di stabilità 2016 – Chiarimenti (circ. Agenzia Entrate 8.4.2016 n. 12)
La circ. Agenzia delle Entrate 8.4.2016 n. 12 ha chiarito che l’agevolazione di cui all’art. 7 co. 1 lett. b) della L. 488/99, che prevede l’applicazione dell’aliquota IVA del 10% a tutte le prestazioni di servizi e alle cessioni di beni con posa in opera realizzate nell’ambito di interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria di immobili a prevalente destinazione abitativa, si estende anche alla fornitura di componenti e parti staccate degli infissi, nel quadro dell’installazione di questi ultimi.
Tuttavia, poiché è esclusa dall’agevolazione la fornitura dei c.d. “beni significativi” di cui al DM 29.12.99, fra i quali gli infissi, nel caso in cui gli stessi beni abbiano un valore superiore al 50% della prestazione resa, la circolare 12/2016 precisa che le componenti o parti staccate dell’infisso dotate di autonomia funzionale rispetto allo stesso non concorrono a formare il valore del bene significativo (per esempio, colle, profili necessari ad adattare l’infisso all’immobile, tapparelle), per cui tali parti beneficiano dell’applicazione dell’aliquota IVA al 10%; al contrario, le parti staccate ma direttamente funzionali all’infisso (quali la maniglia, i serramenti o le veneziane incluse nei vetri dell’infisso) sono da includere nel bene significativo.
Plusvalenze immobiliari – Determinazione della plusvalenza – Giudicato di annullamento relativo al registro (Cass. 18.4.2016 n. 7651)
Cass. 18.4.2016 n. 7651 ha affermato che, quando l’accertamento relativo alle imposte dirette si fonda, in via presuntiva, su quello eseguito ai fini del registro, il giudicato di annullamento del secondo, in breve, ha effetti sul primo.
Tecnicamente, non si può parlare di effetto del giudicato ai sensi dell’art. 2909 c.c. (che presuppone l’identità soggettiva tra le parti), però, come detto dalla Cassazione, in tal modo la presunzione viene ritenuta infondata, quindi difetta il fatto noto.
Nonostante la presunzione, ai fini della plusvalenza sulle dirette, del maggior valore accertato in merito al registro sia stata abrogata dall’art. 5 co. 3 del DLgs. 147/2015, il principio acquista rilevanza ogniqualvolta l’accertamento sulle dirette sia basato, in via presuntiva, su quello notificato per l’imposta di registro.
Patent box – Calcolo dell’agevolazione – Chiarimenti ufficiali (circ. Agenzia Entrate 7.4.2016 n. 11)
La circ. Agenzia delle Entrate 7.4.2016 n. 11 relativa al Patent box ha precisato che è necessario tracciare i costi riferiti ai singoli beni immateriali in modo analitico a partire dal 2015, anche se l’opzione per il Patent box verrà esercitata negli anni successivi.
Tale possibilità si collega con il chiarimento relativo alla circostanza che, se un bene immateriale genera perdite nei primi anni della sua vita, le stesse devono essere memorizzate e attribuite in diminuzione a eventuali redditi positivi dello stesso intangibile negli anni successivi.
La circolare precisa, infatti, che le perdite di un determinato bene immateriale andranno a decurtare i soli eventuali redditi positivi generati dal medesimo bene nel quinquennio di efficacia dell’opzione.
Impresa familiare – Disciplina applicabile
Ai sensi dell’art. 230-bis c.c., il collaboratore dell’impresa familiare ha diritto alla partecipazione agli utili ed ai beni acquistati con essi, nonché agli incrementi dell’azienda, anche in ordine all’avviamento, in proporzione alla quantità e qualità del lavoro prestato. Il diritto di partecipazione è intrasferibile e può essere liquidato in denaro alla cessazione, per qualsiasi causa, della prestazione di lavoro ed in caso di alienazione dell’azienda.
Dal punto di vista delle imposte sui redditi, la ris. Agenzia delle Entrate 28.4.2008 n. 176 ha chiarito che le somme percepite dal collaboratore familiare all’atto del recesso non configurano reddito per il collaboratore stesso, non rientrando in nessuna delle categorie reddituali del TUIR ma attenendo alla sfera personale del percipiente e dell’imprenditore piuttosto che a quella dei rapporti con l’Amministrazione finanziaria. Le somme erogate non costituiscono, pertanto, oneri deducibili dal reddito dell’impresa familiare, ma ripartizioni di utili, al pari di quanto avviene in costanza di rapporto.
Allo stesso modo, la plusvalenza derivante dalla cessione dell’impresa familiare è imputabile interamente in capo all’imprenditore, essendo quindi irrilevante per i collaboratori familiari. Ciò in quanto l’impresa familiare ha natura individuale e, quindi, è imprenditore unicamente il titolare dell’impresa (cfr. ris. Agenzia delle Entrate 31.8.2015 n. 78).
Revoca – Unico accomandatario – Conseguenze
Sono incerte le conseguenze derivanti dalla revoca delle funzioni gestorie in capo al soggetto che sia anche l’unico socio accomandatario.
Secondo una prima ricostruzione, l’art. 2323 co. 2 c.c. non può trovare applicazione analogica, trattandosi di un’ipotesi diversa da quella della sopravvenuta mancanza di tutti gli accomandatari, stante la persistente presenza dell’accomandatario revocato dalla carica di amministratore nella compagine sociale, e dovendosi considerare che, nella sas, il potere di amministrazione è riservato esclusivamente al socio accomandatario.
E, quindi, il verificarsi dell’evento in questione non può che condurre allo scioglimento della società, in quanto la mancanza nell’accomandatario del potere di amministrare si pone come fattore ostativo del suo funzionamento (così Cass. n. 12732/1992; cfr. anche Trib. Verona 8.11.2012, Trib. Milano 27.1.2012, Trib. Salerno 10.4.2007 e Trib. Roma 4.5.2000).
Secondo altra ricostruzione, invece, nel caso in questione sarebbe applicabile la disciplina dettata dall’art. 2323 co. 2 c.c. (cfr. Trib. Milano12.11.2015, Trib. Catania 19.12.2003, Trib. Napoli 2.3.1994 e App. Milano 23.4.1991), con conseguente possibilità per i soci di una rivisitazione dei patti sociali nel termine di sei mesi dalla revoca e di nomina “medio tempore” di un amministratore provvisorio. La coesistenza di tale figura con quella del socio accomandatario illimitatamente responsabile è reputata infatti possibile senza alterazione dello schema tipico, non potendo la responsabilità illimitata dell’accomandatario privato dei poteri gestori essere significativamente aggravata dai meri atti di ordinaria amministrazione demandati all’amministratore provvisorio.
Lavoro intermittente – Novità del DLgs. 81/2015
Il Min. Lavoro, con l’interpello 10/2016 ha chiarito i dubbi sollevati dal DLgs. 81/2015 (c.d. “Codice dei contratti”) in materia di lavoro intermittente, affermando che restano ancora valide le ipotesi oggettive individuate dalla tabella allegata al RD 2657/23. La risposta del Ministero chiarisce che:
-la regolamentazione delle ipotesi oggettive di cui si tratta è demandata, in via principale, alla contrattazione collettiva e, in assenza di disposizioni contrattuali, ad un decreto ministeriale;
-nelle more dell’emanazione di un nuovo decreto, il rischio di vuoti normativi, per i settori in cui i contratti collettivi non intervengano sul tema, è scongiurato dall’art. 55 co. 3 del DLgs. 81/2015, il quale dispone che, in via transitoria, “trovano applicazione le regolamentazioni vigenti”. Il riferimento è, appunto, nella specie, al DM 23.10.2004, che rinvia all’elenco delle attività contenuto nella tabella allegata al RD 2657/23;
-restano fermi i limiti soggettivi, in base ai quali il contratto di lavoro a chiamata può essere concluso con soggetti con meno di 24 anni di età e con lavoratori che abbiano più di 55 anni.
Per i contratti a chiamata irregolari sono previste, per ciascun lavoratore, sanzioni pecuniarie, nonché la conversione del contratto a tempo pieno e indeterminato. Il controllo degli ispettori, in particolare, riguarderà:
-l’adempimento degli obblighi di comunicazione;
-l’effettiva esistenza delle causali oggettive e soggettive;
-il rispetto del limite massimo di 400 giornate di effettivo lavoro nell’arco di tre anni solari (art. 7, co.2 del DL. 76/2013), che decorre dal 28.6.2013 e che scadrà, pertanto, il 28.6.2016.
Regime forfetario – Disciplina IVA
Con la circ. Agenzia delle Entrate 4.4.2016 n. 10 sono state fornite indicazioni in merito agli adempimenti cui sono tenuti i soggetti che applicano il regime forfetario di cui all’art. 1 commi da 54 a 89 della L. 190/2014 qualora effettuino operazioni con l’estero. Conformemente a quanto previsto dall’art. 283 della direttiva 2006/112/CE, le prestazioni di servizi rese o ricevute con controparti non residenti seguono le disposizioni di cui all’art. 7-ter e ss. del DPR 633/72.
Pertanto, per i servizi generici resi a non residenti soggetti passivi IVA, il prestatore forfetario emette fattura senza addebito d’imposta e, in caso di controparte comunitaria, deve iscriversi al Vies e compilare il modello Intrastat se l’operazione è imponibile nello Stato del committente.
Per i servizi generici ricevuti da prestatore extra-Ue, il committente forfetario emette autofattura; in caso di prestatore Ue, il committente integra la fattura e compila il modello Intrastat. Si ricorda che, anche per i forfetari che acquistano servizi generici sussiste l’obbligo di iscrizione al Vies.
Per quanto attiene alle cessioni di beni verso soggetti comunitari, i forfetari non sono tenuti a iscriversi al Vies o a compilare gli elenchi Intrastat, in quanto tali operazioni non sono assimilate alle cessioni intracomunitarie. Sono invece equiparate a cessioni interne, senza applicazione dell’IVA, anche qualora il cessionario Ue operi nel regime delle piccole imprese.
Diversamente, in caso di acquisti di beni effettuati da soggetti forfetari presso fornitori Ue, a norma dell’art. 38 co. 5 lett. c) del DL 331/93, non si realizza un acquisto intracomunitario finché l’ammontare degli acquisti non supera la soglia di 10.000,00 euro. Tuttavia, indipendentemente dal volume degli acquisti, se anche il fornitore UE opera in regime di piccole imprese, l’operazione non dovrebbe costituire acquisto intracomunitario, ai sensi dell’art. 38 co. 5 lett. d) del DL 331/93.