La Corte di Cassazione, nella sentenza 30.3.2016 n. 6135, evidenzia che la presunzione, finora affermata dalla giurisprudenza, circa la corrispondenza tra il corrispettivo incassato per il trasferimento immobiliare (rilevante ai fini della determinazione della plusvalenza nell’ambito delle imposte dirette) ed il valore venale in comune commercio dell’immobile ceduto, accertato ai fini dell’imposta di registro, non è più sostenibile alla stregua della nuova disposizione recata dall’art. 5 co. 3 del DLgs. 147/2015.
Quest’ultima norma, infatti, ha stabilito che gli articoli 58, 68, 85 e 86 del TUIR devono essere interpretati nel senso che, per le cessioni di immobili e di aziende, nonché per la costituzione e il trasferimento di diritti reali sugli stessi, “l’esistenza di un maggior corrispettivo non è presumibile soltanto sulla base del valore anche se dichiarato, accertato o definito ai fini dell’imposta di registro”, o delle imposte ipotecaria e catastale.
La citata norma – aggiunge la Corte – è applicabile retroattivamente, avendo natura interpretativa.
Non può, quindi, ritenersi corretta la sentenza che abbia giudicato legittimo un avviso di accertamento di maggior plusvalenza basato sul principio – ormai superato – secondo cui l’Amministrazione sarebbe legittimata a procedere in via induttiva all’accertamento della plusvalenza sulla base dell’accertamento di valore effettuato in sede di imposta di registro, spettando al contribuente l’onere di dimostrare di avere venduto ad un prezzo inferiore.