Sono incerte le conseguenze derivanti dalla revoca delle funzioni gestorie in capo al soggetto che sia anche l’unico socio accomandatario.
Secondo una prima ricostruzione, l’art. 2323 co. 2 c.c. non può trovare applicazione analogica, trattandosi di un’ipotesi diversa da quella della sopravvenuta mancanza di tutti gli accomandatari, stante la persistente presenza dell’accomandatario revocato dalla carica di amministratore nella compagine sociale, e dovendosi considerare che, nella sas, il potere di amministrazione è riservato esclusivamente al socio accomandatario.
E, quindi, il verificarsi dell’evento in questione non può che condurre allo scioglimento della società, in quanto la mancanza nell’accomandatario del potere di amministrare si pone come fattore ostativo del suo funzionamento (così Cass. n. 12732/1992; cfr. anche Trib. Verona 8.11.2012, Trib. Milano 27.1.2012, Trib. Salerno 10.4.2007 e Trib. Roma 4.5.2000).
Secondo altra ricostruzione, invece, nel caso in questione sarebbe applicabile la disciplina dettata dall’art. 2323 co. 2 c.c. (cfr. Trib. Milano12.11.2015, Trib. Catania 19.12.2003, Trib. Napoli 2.3.1994 e App. Milano 23.4.1991), con conseguente possibilità per i soci di una rivisitazione dei patti sociali nel termine di sei mesi dalla revoca e di nomina “medio tempore” di un amministratore provvisorio. La coesistenza di tale figura con quella del socio accomandatario illimitatamente responsabile è reputata infatti possibile senza alterazione dello schema tipico, non potendo la responsabilità illimitata dell’accomandatario privato dei poteri gestori essere significativamente aggravata dai meri atti di ordinaria amministrazione demandati all’amministratore provvisorio.