Per molti datori di lavoro il periodo estivo è caratterizzato da esigenze di carattere contingente, gestibili mediante il ricorso a particolari tipologie contrattuali “flessibili”, come ad esempio il lavoro a temine, a chiamata oppure occasionale ed accessorio.
Per quanto concerne il lavoro a termine – utile sia per coprire lavoratori assenteisti, sia per fronteggiare punte di attività – si segnala come i rapporti instaurati per ragioni sostitutive, così come quelli per le attività stagionali ex art. 21 co. 2 del DLgs. 81/2015, siano esentati dai limiti quantitativi di utilizzo. Di converso, si ricorda che il ricorso a tale tipologia contrattuale comporta il versamento all’INPS di un contributo addizionale pari all’1,40%.
Invece, per quanto riguarda il lavoro a chiamata, si evidenzia come la prestazione possa essere considerata discontinua anche laddove sia resa per periodi di durata significativa, purché intervallati da una o più interruzioni, in modo che non vi sia una esatta coincidenza tra la durata del contratto e quella della prestazione. Il principale svantaggio per chi ricorre a questo tipo di contratto, è che, al di fuori delle ipotesi oggettive, lo stesso non può essere stipulato con soggetti tra i 24 e i 55 anni di età.
Infine, un’ultima tipologia contrattuale “flessibile” è costituita dal lavoro occasionale ed accessorio, il cui utilizzo è ammesso per tutte quelle prestazioni caratterizzate da compensi fino a 7.000 euro complessivi ad anno civile in capo al singolo prestatore, che si riducono a 2.020 euro annui nei confronti di ciascun imprenditore o professionista. Data la generale applicabilità di questo contratto, i principali limiti sono quindi legati ai citati tetti di compenso.