Con la sentenza n. 16214/2016, la Corte di Cassazione ha ribadito che il patto di prova deve essere accettato dal dipendente in forma scritta, a pena di invalidità dell’eventuale licenziamento intimato alla scadenza del relativo periodo, e non può essere prorogato in costanza di rapporto, essendo possibile definire la sua durata solo all’interno del contratto di assunzione.
Nel caso in esame, il recesso non era stato intimato dal datore di lavoro durante il periodo di prova inizialmente concordato tra le parti, ma era intervenuto durante un periodo successivo, oggetto di una proposta di proroga sottoposta al dipendente e accettata dallo stesso solo verbalmente.
Nel confermare l’illegittimità del licenziamento, la Suprema Corte ricorda che non sussiste possibilità di concordare verbalmente il patto di prova, dal momento che la forma scritta è espressamente richiesta dall’art. 2096 c.c. non solo ai fini di prova, ma anche ai fini della validità dell’atto.
Invece, con riferimento alla proroga, i giudici di legittimità rilevano che, seppure fosse stata siglata per iscritto dalla dipendente, il datore di lavoro non avrebbe comunque potuto recedere per mancato superamento della prova, una volta terminato il periodo inizialmente concordato. Infatti, il patto di prova costituisce un elemento accidentale del contratto di lavoro, che non può produrre effetto se non è espressamente previsto dalle parti in tale documento. Invece, un accordo di proroga firmato in un momento successivo all’instaurazione del rapporto di lavoro resta per definizione fuori dal contratto iniziale, non avendo alcuna efficacia in relazione alla durata del periodo di prova.