Il datore di lavoro può verificare l’effettività dello stato di malattia di un proprio dipendente rivolgendosi ad un’agenzia investigativa, senza per questo violare le disposizioni in materia previste dall’art. 5 della L. 300/70, e lo può fare anche se non sussistono “gravi sospetti”. Lo ha deciso la Corte di Cassazione con la sentenza n. 18507/2016, respingendo il ricorso di un lavoratore licenziato per giusta causa a seguito di una simulazione fraudolenta dello stato di malattia.
Si conferma dunque la sentenza d’appello che aveva giudicato legittimo il ricorso ad un investigatore privato da parte di un datore di lavoro, con la finalità di verificare l’effettività di un prolungato stato di malattia di un proprio dipendente, comunque assistito da apposita certificazione medica che attestava il sussistere di una lombalgia acuta. Nell’occasione, l’investigatore aveva ripreso con una telecamera il lavoratore mentre eseguiva alcuni lavori sul tetto e nella corte della propria abitazione.
Sul punto, si ricorda che l’art. 5 della L. 300/70, da un lato, prevede il divieto di compiere verifiche dirette sull’infermità per malattia dei dipendenti e, dall’altro, dispone che il controllo delle assenze possa essere effettuato solo attraverso gli istituti pubblici preposti e nelle fasce orarie giornaliere prestabilite. Pertanto, la norma sembrerebbe precludere qualsiasi altra forma di accertamento da parte del datore di lavoro. La Cassazione, tuttavia, ha ribadito che le disposizioni ex art. 5 non impediscono che le risultanze dei certificati medici prodotte dal lavoratore possano essere oggetto di ulteriori controlli datoriali.
Orbene, le risultanze delle investigazioni, qualora legittimamente acquisite, sono tali da privare il certificato medico rilasciato da professionisti convenzionati degli effetti suoi propri. Una conseguenza non di poco conto se si considera che il certificato medico costituisce atto pubblico assistito da fede privilegiata e, come tale, in generale fa piena prova sino a querela di falso.