La Corte di Cassazione, con la sentenza 26.1.2017 n. 2004, ha affermato che il divieto di licenziamento della lavoratrice madre viene meno quando ricorra la colpa grave di quest’ultima, costituente giusta causa ai sensi dell’art. 54 co. 3 del DLgs. 151/2001. Tuttavia tale requisito non può dirsi integrato dalla mera sussistenza di un giustificato motivo soggettivo o da una situazione prevista dalla contrattazione collettiva come giusta causa, idonea a legittimare la sanzione espulsiva.
Secondo la Cassazione, la rilevanza costituzionale dello stato di gravidanza, specialmente quando posto in un contesto lavorativo, richiede al giudice di merito un’indagine più approfondita delle circostanze fattuali, al fine di valutare se sussistano i connotati di maggior gravità richiesti dalla legge (per l’appunto, la colpa grave).
Alla luce di questi principi, la Suprema Corte ha accolto il ricorso di una lavoratrice, licenziata per giusta causa durante il periodo di gravidanza, per non essersi presentata presso l’ufficio nel quale era stata trasferita e aver protratto tale assenza in modo arbitrario per più di 60 giorni. L’assenza costituiva una forma di autotutela (art. 1460 c.c.) contro il provvedimento di trasferimento ritenuto illegittimo, ma la società datrice di lavoro aveva ritenuto integrata l’ipotesi di “assenza arbitraria dal servizio superiore a 60 giorni” prevista dal contratto collettivo di riferimento come giusta causa di recesso e aveva disposto il licenziamento senza preavviso.