Secondo l’orientamento della giurisprudenza di legittimità:
– mentre il contratto di agenzia è caratterizzato dalla continuità e stabilità del rapporto e ha come oggetto l’attività di promozione, da parte dell’agente, della conclusione di contratti per conto del proponente;
– il rapporto di procacciamento d’affari si caratterizza per il fatto di non avere carattere stabile, di essere limitato a singoli affari, di avere una durata ridotta e un oggetto più circoscritto, essendo l’oggetto dell’attività del procacciatore limitata alla mera segnalazione di clienti o alla raccolta sporadica di ordini.
Nell’ipotesi in cui – come nel caso deciso dalla recente sentenza Trib. Roma 7295/2017 – il rapporto duri nel tempo e sia riferito ad una molteplicità di clienti, oltre ad essere basato su una lettera di incarico recante una clausola di rinnovo tacito e la fissazione di specifici obblighi di informazione, la scelta della figura del procacciatore d’affari espone l’azienda al rischio della riqualificazione del rapporto, in sede ispettiva o giudiziaria (su ricorso del lavoratore), in un rapporto di agenzia, con conseguente pretesa dell’ENASARCO in ordine al pagamento dei contributi sui corrispettivi versati.