Le novità prospettate dal Ddl. di bilancio 2018, finalizzate ad estendere alle cessioni di partecipazioni qualificate l’imposta sostitutiva del 26% prevista dall’art. 5 del DLgs. 461/97, determinano un aggravio impositivo in capo alle società non residenti senza stabile organizzazione in Italia. Vi sono, infatti, alcuni casi in cui le cessioni effettuate da non residenti risultano imponibili in Italia per effetto delle Convenzioni che assegnano la potestà impositiva anche allo Stato dove la società è localizzata (ad esempio, il Trattato con la Francia) al ricorrere di particolari condizioni (svolgimento, da parte della partecipata, di attività immobiliare, o entità rilevante della partecipazione).
Si verifica, quindi, un fenomeno di discriminazione rispetto alle società residenti che effettuano analoghe cessioni, le quali sono tassate nella misura dell’1,2% del provento realizzato (il 24% di IRES applicato su una base imponibile del 5%) se beneficiano della participation exemption.
In ambito comunitario si potrebbe ledere la libertà di stabilimento (problema che, comunque, sussisteva anche prima della prospettata riforma); la soluzione potrebbe essere quella di prevedere in capo ai soggetti residenti nell’Unione europea un’imposta sostitutiva dell’1,2%, in modo simile a quanto avviene per i dividendi.