La Corte di Cassazione, nella sentenza 17.4.2019 n. 16768, ha ribadito che l’utilizzo di fatture soggettivamente inesistenti non integra la fattispecie di cui all’art. 2 del DLgs. 74/2000 ai fini delle imposte dirette: si tratta, infatti, di un costo realmente sostenuto relativo a servizi o beni effettivamente scambiati. La violazione può integrare solo il reato ai fini IVA (Cass. 10394/2010).
L’indicazione di un soggetto diverso da quello che ha effettuato la fornitura non è indifferente ai fini IVA, dal momento che la qualità del venditore può incidere sulla misura dell’aliquota e, conseguentemente, sull’entità dell’imposta che l’acquirente può detrarre.
Da tali indicazioni potrebbe dedursi che, se la fatturazione soggettivamente inesistente non dovesse presentare rilevanza anche ai fini IVA – perché, ad esempio, si tratta di operazioni esenti – il delitto non sarebbe configurabile per nessuna imposta, non sussistendo alcuna forma di evasione.