Per “Ape” (o anticipo pensionistico) si intende un canale di uscita dal mercato del lavoro auto-finanziata o di “finanziamento integrativo” (per i lavoratori che intendano rimanere attivi, ad esempio con un impegno part-time, come sembrerebbe possibile alla luce del disegno di legge di bilancio), cui sarà possibile ricorrere, in via sperimentale, dal prossimo mese di maggio fino alla fine del 2018 (quando il Governo deciderà se rendere, o meno, strutturale la misura).
Sono previste diverse tipologie:
– l’Ape volontaria, per i lavoratori iscritti all’AGO, alle forme esclusive o sostitutive della medesima ovvero alla Gestione separata, con almeno 63 anni di età e 20 di contributi;
– l’Ape aziendale (o d’impresa), basata su un accordo sindacale e comportante il pagamento di contributi aggiuntivi a carico del datore di lavoro o degli enti bilaterali o dei fondi di solidarietà categoriali, per i lavoratori aventi i medesimi requisiti richiesti per l’Ape volontaria;
– l’Ape social, per i lavoratori iscritti all’AGO, alle forme esclusive o sostitutive della medesima ovvero alla Gestione separata, con almeno 63 anni di età e 30 di contributi, se rientranti nelle categorie delineate nel Ddl di bilancio (disoccupati privi di sussidi da almeno 3 mesi, persone che assistano familiari con handicap, lavoratori con riduzione della capacità lavorativa almeno del 74%), oppure 36 anni di contributi, se impiegati da almeno 6 anni in attività pericolose (anch’esse delineate nel Ddl).
Nell’attesa della definizione di ulteriori aspetti tramite DPCM, si prevede che, a livello procedurale, per le prime due tipologie, sarà necessario richiedere all’INPS, prima, la certificazione del diritto all’Ape e, successivamente, l’attivazione dell’anticipo, con contemporanea domanda per la pensione vera e propria.