Con la sentenza n. 15989/2016, la Corte di Cassazione si è pronunciata riguardo ad un caso di licenziamento di una lavoratrice dipendente che durante il periodo di assenza per malattia aveva prestato attività di lavoro domestico presso terzi.Pur accogliendo il ricorso datoriale per gravi errori procedurali commessi dalla Corte d’appello, i giudici di legittimità colgono l’occasione per ricordare che, in linea di principio e secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale di legittimità (Cfr. Cass. 3.3.2015 n. 4237), non sussiste per il lavoratore assente per malattia un divieto assoluto di prestare, durante tale assenza, un’attività lavorativa a favore di terzi.
Tuttavia, è necessario che non emerga una simulazione di infermità, oppure che non venga violato il divieto di concorrenza o, infine, che l’attività lavorativa non comprometta la guarigione del lavoratore, con conseguente inosservanza del dovere di fedeltà al prestatore d’opera.
Pertanto, non si configura una giusta causa di licenziamento laddove non sia stato provato che il lavoratore abbia agito fraudolentemente in danno del datore di lavoro, simulando la malattia per assentarsi in modo da poter espletare un lavoro diverso o lavorando durante l’assenza con altre imprese concorrenti (con quella cui è contrattualmente legato) oppure, anziché collaborare al recupero della salute per riprendere al più presto la propria attività lavorativa, abbia compromesso o ritardato la propria guarigione strumentalizzando così il suo diritto al riposo per trarne un reddito dal lavoro diverso in costanza di malattia e in danno del proprio datore di lavoro.