La Corte di Cassazione, con l’ordinanza 22.1.2024 n. 2127, alla luce delle indicazioni delle sentenze gemelle delle Sezioni Unite nn. 6070, 6071 e 6072/2013, ha ricordato, tra l’altro, che:
– il fatto che sia mancata la liquidazione di alcuni beni o diritti, il cui valore economico sarebbe stato altrimenti ripartito tra i soci, comporta soltanto che, cessata la società, s’instauri tra i soci medesimi, ai quali attengono quei diritti o quei beni, un regime di contitolarità o di comunione indivisa;
– peraltro, fra i rapporti attivi, in forza dei quali prima della cancellazione la società avrebbe potuto vantare diritti, possono agevolmente essere ritenute come rinunciate le mere pretese, ancorché azionate o azionabili in giudizio, cui ancora non corrisponda la possibilità d’individuare con sicurezza nel patrimonio sociale un diritto o un bene definito; onde un tale diritto o un tale bene non avrebbero neppure potuto ragionevolmente essere iscritti nell’attivo del bilancio finale di liquidazione;
– analoghe conclusioni valgono nel caso in cui un diritto di credito, oltre che magari controverso, non sia neppure liquido, di modo che solo un’attività ulteriore da parte del liquidatore – per lo più consistente nell’esercizio o nella coltivazione di un’apposita azione giudiziaria – avrebbe potuto condurre a renderlo liquido, in vista del riparto tra i soci dopo il soddisfacimento dei debiti sociali.