Tra i diversi decreti correttivi al Jobs act (L. 183/2014) che nei prossimi mesi inizieranno l’iter di approvazione, si segnala anche un provvedimento ad hoc per quanto concerne i c.d. voucher utilizzati come modalità di pagamento nell’ambito delle prestazioni di lavoro accessorio disciplinate dall’art. 48 e seguenti del DLgs. 81/2015. Tale provvedimento, che potrebbe arrivare sul tavolo del Consiglio dei Ministri tra la fine di maggio e gli inizi di giugno 2016, dovrebbe contenere misure restrittive circa l’utilizzo dei voucher, con la finalità di renderli pienamente tracciabili. In pratica, le imprese che li utilizzeranno, dovranno comunicare preventivamente, in modalità telematica, nominativo e codice fiscale del lavoratore per il quale verranno utilizzati, insieme con l’indicazione precisa di data e luogo in cui si svolgerà la prestazione lavorativa e la sua durata.
Si introduce, insomma, una modalità di controllo analoga a quella già in essere per il “lavoro a chiamata”, senza toccare, però, i limiti di compenso annui di questi strumenti (7.000 euro, con tetto di 2.000 per ciascun committente). L’obiettivo dichiarato è quello di contrastare l’utilizzo illegale ed elusivo dei buoni che, secondo il Ministero del Lavoro, consiste principalmente nell’acquistarli ma usarli solo in caso di controlli (nel 2015 ne sono stati venduti 114,9 milioni, ma ne sono stati riscossi 88,1 milioni e una parte è stata restituita e rimborsata) oppure di impiegare i lavoratori per più tempo rispetto a quello dichiarato.
Giustificato motivo oggettivo – Impossibilità di ricollocare il lavoratore – Onere della prova a carico del datore di lavoro (Cass. 22.3.2016 n. 5592)
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 5592 del 22.3.2016, ha sovvertito l’interpretazione sino ad oggi prevalente in materia di licenziamento per giustificato motivo oggettivo (che poneva in capo al datore di lavoro l’onere di provare di aver assolto all’obbligo di repechage e un diverso onere a carico del lavoratore di dedurre l’esistenza di posti di lavoro alternativi) e ha affermato che incombe sul solo datore dimostrare l’impossibilità di ricollocare il dipendente in altre posizioni all’interno dell’organizzazione, senza che sia necessaria la preventiva allegazione da parte del lavoratore circa l’esistenza di mansioni alternative presso cui essere adibito.
Secondo la nuova impostazione dei giudici di legittimità, l’art. 5 della L. 604/1966 in materia di licenziamenti individuali pone chiaramente a carico del datore di lavoro l’onere della prova della sussistenza del giustificato motivo di licenziamento nel quale rientra, quale elemento costitutivo, la verifica sul repechage del lavoratore in una diversa posizione aziendale.
Nel ricorso proposto dal lavoratore avverso il licenziamento, pertanto, è adesso sufficiente che quest’ultimo:
– ne contesti l’illegittimità;
– affermi l’inesistenza delle ragioni aziendali addotte, nonchè la violazione dell’obbligo di repechage (senza più alcun onere di
Trasmissione telematica dei certificati di malattia – Novità del DLgs. 151/2015
A partire da oggi 22.3.2016 entrano in vigore le disposizioni dell’art. 21 del DLgs. 151/2015 che dispongono che l’obbligo di invio telematico del certificato medico non gravi più in capo al datore di lavoro del dipendente infortunato o affetto da malattia professionale, ma al medico o alla struttura sanitaria che gli presti le prime cure.
Secondo quanto previsto dalle nuove disposizioni:
-il datore di lavoro continuerà a effettuare la denuncia obbligatoria in modalità telematica all’INAIL senza, però, inviare contestualmente il certificato medico;
-il lavoratore infortunato dovrà fornire al datore di lavoro il numero identificativo del certificato, la data di rilascio e i giorni di prognosi;
-dal momento in cui il datore avrà a disposizione questi dati decorrerà il termine previsto per l’irrogazione delle sanzioni in caso di omissione della denuncia d’infortunio o di malattia professionale;
-è a carico dell’INAIL (non più del datore di lavoro), l’obbligo di segnalazione degli infortuni mortali o con prognosi a 30 giorni alle autorità di pubblica sicurezza e alle DTL.
L’INAIL, con la circ. 10/2016 ha chiarito che nella fase transitoria il certificato medico potrà essere trasmesso anche via Pec; in tal caso, il documento potrebbe non essere immediatamente disponibile nell’applicativo.
Al riguardo il Min. Salute ha precisato che, in assenza di uno specifico limite temporale, il termine massimo per l’invio del certificato possa ragionevolmente individuarsi entro 24 ore dal giorno successivo alla prestazione effettuata.
Controllo a distanza dei dipendenti – Condizioni e limiti
Con l’art. 23 del DLgs. 151/2015 è stata data attuazione alla L. 183/2014 (Job act), laddove era prevista la revisione della disciplina dei controlli a distanza ex art. 4 della L. 300/70, tenendo conto dell’evoluzione tecnologica e contemperando le esigenze produttive e organizzative dell’impresa con la tutela della dignità e della riservatezza del lavoratore. In via preliminare, in ogni caso, il legislatore abbia confermato che gli strumenti audiovisivi – e non solo – possono essere impiegati anche laddove derivi una possibilità di controllo a distanza dei lavoratori, purché ricorra una giustificazione ritenuta apprezzabile, ossia la presenza di un interesse meritevole di tutela, come le esigenze organizzative e produttive, la sicurezza delle condizioni di lavoro e, novità introdotta proprio dalle recenti modifiche, la tutela del patrimonio aziendale. Tuttavia, la vera novità introdotta dall’art. 23 del DLgs. 151/2015 è contenuta nel nuovo co. 2 dell’art. 4 della L. 300/70, il quale esclude la necessità di accordo sindacale ovvero di autorizzazione ministeriale per l’impiego di strumenti utilizzati dal lavoratore per la resa della prestazione. Quindi, cellulari, smartphone, tablet e pc che, in certi casi, costituiscono veri e propri potenziali strumenti di controllo dei lavoratori, se necessari alla resa della prestazione lavorativa, esonerano il datore di lavoro dalle procedure autorizzative contenute al co. 1 dell’art. 4 della L. 300/70. Permangono, invece, dubbi circa l’impiego dei GPS installati su mezzi aziendali di trasporto, in quanto ci si chiede se gli stessi possano effettivamente rientrare, come parrebbe logico e opportuno, nelle ipotesi di cui al comma 2, con la conseguente esonero, come detto, dalla procedura autorizzativa.
CIG in deroga – Novità del DLgs. 148/2015 e della L. 208/2015 – Ambito applicativo
La Cig in deroga (CIGD) 2016, a cui potranno accedere i datori di lavoro esclusi da CIGO e CIGS per i lavoratori subordinati che abbiano un’anzianità lavorativa presso l’impresa di almeno 12 mesi all’inizio del periodo d’intervento, è disciplinata:
– dal DLgs 148/2015, che detta principi generali da coniugare con valide le regole applicative previste dal decreto Lavoro-Economia 83473/2014
– dall’art. 1 co. 304 della Legge di Stabilità 2016 (L. 208/2015) che, sulla base della L. 92/2012, ha incrementato il finanziamento del sussidio di 250 milioni di euro e ha stabilito un limite massimo di possibile utilizzo di tre mesi nell’arco di un anno per la concessione o la proroga del trattamento di CIGD, a decorrere dall’1.1.2016 e fino al 31.12.2016.
Il Min. Lavoro, con le note 40/3223 dell’11.2.2016 e 40/4831 dell’1.3.2016, ha precisato, inoltre, che i datori di lavoro esclusi da CIGO e CIGS che rientrino nel campo di applicazione della normativa relativa al FIS (Fondo di Integrazione Salariale) possano optare per l’accesso al trattamento della CIG in deroga nei limiti previsti dalla normativa o, alternativamente, per le misure previste dal FIS o da quelli bilaterali.
Tra l’altro, la normativa che regolamenta il Fondo, istituito dal DLgs. 148/2015 in sostituzione del fondo di solidarietà residuale, prevede che, nelle more dell’emanazione del DM Lavoro-Economia che istituisca formalmente il FIS, i datori di lavoro che risultavano già iscritti al fondo di solidarietà residuale possano fruire delle nuove prestazioni disciplinate dal Jobs Act.
Licenziamento per giustificato motivo oggettivo – Condizioni di legittimità (Cass. 8.3.2016 n. 4509)
Con la sentenza 4509/2016, la Corte di Cassazione ha stabilito che, qualora un datore di lavoro intenda licenziare per giustificato motivo oggettivo un dipendente, dovrà dimostrare non solo l’avvenuta soppressione del posto di lavoro fino a quel momento occupato dal lavoratore, ma anche che non vi è la possibilità di impiegarlo in una posizione equivalente e di aver proposto al dipendente una dequalificazione, senza aver ottenuto il consenso dell’interessato, qualora vi siano posti disponibili in mansioni inferiori alle precedenti. In relazione all’obbligo di repechage, l’imprenditore è, quindi, onerato dall’obbligo di dimostrare non solo che al momento del licenziamento non sussisteva alcuna posizione di lavoro analoga a quella soppressa, ma anche di aver prospettato al lavoratore, prima di licenziarlo e senza averne ottenuto il consenso, la possibilità di impiegarlo in mansioni inferiori. Il giudice potrà considerare legittimo il licenziamento solo se il datore di lavoro abbia correttamente assolto a tale dovere di ricollocazione, sempre che la riorganizzazione aziendale da cui consegue la soppressione del posto sia effettiva.
Attualmente la legittimità di un accordo per un inquadramento inferiore ai fini della conservazione del posto di lavoro non trova più il suo fondamento solo in un consolidato orientamento della giurisprudenza, ma è stato consacrato nel nuovo co. 6 dell’art. 2103 c.c., introdotto dal DLgs. 81/2015. L’accordo è valido purché sia stipulato in una delle sedi protette individuate dall’art. 2113 c.c. o davanti alle commissioni di certificazione, per cui non è più ammissibile un consenso informale al demansionamento, che in precedenza la giurisprudenza riteneva sufficiente se finalizzato a evitare la risoluzione del rapporto.
Istituzione della “NASpI” – Contributo per il funzionamento – Debenza
Grazie ad una specifica previsione contenuta all’art. 2-quater del DL 210/2015 (il c.d. “Milleproroghe”, convertito dalla L. 21/2016), per tutto il 2016 le imprese non pagheranno il “ticket licenziamento” in caso di appalti e fine lavori dell’edilizia. Il “ticket” in argomento, si ricorda, è stato introdotto dalla L. 92/2012 (legge Fornero) per finanziare gli ammortizzatori sociali e, in particolare, le indennità di disoccupazione ASpI e mini-ASpI che, con il DLgs. 22/2015, sono state in seguito abrogate e sostituite con la NASpI, senza però apportare alcuna modifica al regime di contribuzione.
Il ticket in questione è dovuto in tutti i casi di interruzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, ad eccezione delle cessazioni intervenute a seguito di:
– dimissioni (tranne le dimissioni per giusta causa o intervenute durante il c.d. “periodo tutelato di maternità”);
– risoluzioni consensuali (a meno che non derivino da procedura di conciliazione presso la DTL a seguito di licenziamento per giustificato motivo oggettivo);
– decesso del lavoratore;
– risoluzioni di rapporti di lavoro domestici.
Sul punto, si precisa che l’abrogata disposizione ex L. 92/2012 aveva disposto l’esclusione dal versamento del ticket, fino al 31.12.2016, dei datori di lavoro tenuti al pagamento del contributo d’ingresso nelle procedure di mobilità (di cui all’art. 5, co. 4 della L. 223/91) nonché, per il periodo dal 2013 al 2015, nei seguenti casi:
– licenziamenti effettuati in conseguenza di cambi di appalto, ai quali siano succedute assunzioni presso altri datori di lavoro, in applicazione di clausole sociali che garantiscano la continuità occupazionale prevista dai contratti collettivi nazionali di lavoro (c.d. “clausole o patti sociali”);
– interruzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato, nel settore delle costruzioni edili, per completamento delle attività e chiusura del cantiere.
Per queste ultime ipotesi, dunque, dall’1.1.2015 le imprese avrebbero dovuto cominciare a versare il ticket licenziamento. Tuttavia, con l’apposita disposizione del “Milleproroghe”, l’esenzione perdurerà per tutto l’anno 2016.
Riduzione contributiva nel settore dell’edilizia per l’anno 2015 – Indicazioni operative (circ. INPS 17.3.2016 n. 52)
Con il DM 1.12.2015, è stata confermata per l’anno 2015, nella misura dell’11,50%, la riduzione contributiva prevista dall’art. 29 co. 2 del DL 244/95 per gli operai assunti a tempo pieno (40 ore settimanali) presso le imprese appartenenti al settore dell’edilizia e in possesso di specifici requisiti, come ad esempio la regolarità contributiva. Sull’argomento, è intervenuto l’INPS con la circ. 17.3.2016 n. 52, fornendo le istruzioni operative a favore delle imprese edili interessate. Operativamente, le istanze per richiedere la riduzione contributiva relativamente all’anno 2015 potranno essere inoltrate telematicamente all’INPS fino al 15.5.2016, utilizzando il modulo “Rid-Edil”, disponibile sul sito www.inps.it all’interno del cassetto previdenziale aziendale, nella sezione “comunicazioni on-line”, funzionalità “invio nuova comunicazione”. Se il controllo automatizzato darà esito positivo, sarà attribuito alla posizione contributiva interessata il codice di autorizzazione 7N, per il periodo da agosto 2015 ad aprile 2016. Sul punto, si ricorda che il beneficio può essere fruito entro il 16.5.2016 per mezzo delle denunce UniEmens di competenza fino al mese di aprile 2016. In pratica, le imprese edili autorizzate potranno esporre lo sgravio nel flusso UniEmens, utilizzando le denunce contributive relative ai mesi di febbraio, marzo e aprile 2016. Trattandosi di riduzione contributiva riferita al 2015, si dovrà utilizzare il codice L207, riferito al recupero di arretrati, nell’elemento “AltrePartiteACredito” di “DenunciaAziendale”.
Irreperibilità del lavoratore in occasione delle visite mediche domiciliari di controllo – Illegittimità del licenziamento (Cass. 10.3.2016 n. 4695)
Con la sentenza 10.3.2016 n. 4695, la Corte di Cassazione ha stabilito che non costituisce condotta inadempiente del lavoratore assente per malattia la circostanza di non essere stato presente alla visita di controllo domiciliare nelle fasce di reperibilità pomeridiana e di non essersi, quindi, presentato il giorno successivo alla visita ambulatoriale, in quanto il medesimo lavoratore era stato sottoposto a visita di controllo presso la ASL nella mattinata precedente. Con riferimento al caso della sentenza in esame, risulta pertanto illegittimo il licenziamento irrogato dal datore di lavoro per il mancato rispetto, da un lato, dell’obbligo di presenza durante le fasce di reperibilità pomeridiane e, d’altro lato, per la mancata presentazione del lavoratore alla visita ambulatoriale di controllo la mattina successiva. Sul punto, si precisa peraltro che il licenziamento era stato ritenuto giustificato sia in primo che in secondo grado. Tuttavia, la Corte di Cassazione non ha condiviso tale decisione di merito e ha ritenuto che, essendosi sottoposto il lavoratore alla visita ambulatoriale nel corso della mattina, nel pomeriggio dello stesso giorno non era più tenuto a sottoporsi a visita fiscale nelle fasce di reperibilità e, per la stessa ragione, neppure era tenuto ad effettuare la visita ambulatoriale di controllo il giorno dopo.
Dimissioni – Nuova procedura on line per la comunicazione alla DTL e al datore di lavoro – Entrata in vigore
Sabato 12.3.2016 è entrata in vigore la nuova procedura telematica per presentare le dimissioni o prestare il consenso ai fini della risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, definita dall’art. 26 del DLgs. 151/2015 e dal DM del 15.12.2015. I lavoratori interessati, a pena di inefficacia, dovranno rendere le dimissioni o la risoluzione consensuale esclusivamente in via telematica, direttamente o con l’assistenza di un soggetto abilitato (patronato, organizzazione sindacale, ente bilaterale o commissione di certificazione). In entrambi i casi, una volta compilato il format con i dati richiesti, il modulo sarà inviato telematicamente alla casella di posta elettronica certificata del datore di lavoro e alla DTL.
Inoltre, entro il termine di sette giorni dalla trasmissione telematica del modulo al datore di lavoro, il lavoratore potrà revocare con modalità telematiche le proprie dimissioni o il consenso prestato per la risoluzione consensuale, facendo così rivivere il rapporto di lavoro cessato.
La nuova procedura tuttavia, non è esente da criticità. Confimi ha avanzato preoccupazioni relativamente ai casi di inerzia dei lavoratori, spiegando che ”la nuova norma non offre alcun rimedio contro quei soggetti che vogliono andarsene dall’azienda, lucrando però sull’indennità di disoccupazione, e che per questo si limitano a rendersi irreperibili, provocando normalmente un licenziamento disciplinare, che all’azienda costa quantomeno il “ticket Naspi” fino a circa 1.500 euro e all’Inps 24 mesi di immeritata indennità, in media 24.000 euro.”