Collaboratori coordinati e continuativi anche a progetto – Stabilizzazione dall’1.1.2016 – Sgravio contributivo ex Ddl. di stabilità 2016 (parere Fondazione studi consulenti del lavoro n. 3/2015)

Con il parere n. 3/2015, la Fondazione studi dei consulenti del lavoro ha affermato che i contratti di lavoro subordinato stipulati nel 2016 per stabilizzare le collaborazioni coordinate e continuative (ex art. 54 del DLgs. 81/2015) possono beneficiare dello sgravio contributivo, previsto dal Ddl. di stabilità 2016, per i contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato.
Il dubbio sulla compatibilità tra le predette misure emergeva dall’art. 31 del DLgs. 150/2015, che esclude gli sgravi quando l’instaurazione del rapporto di lavoro rappresenta l’attuazione di un obbligo preesistente (nel caso specifico, di stabilizzare le collaborazioni). La Fondazione ha ritenuto la compatibilità tra sgravio e stabilizzazione posto che “non sussiste alcun obbligo legale alla stabilizzazione, ma solo condizioni obbligatorie per la sua attuazione”; infatti, la procedura di stabilizzazione si attiva su espressa volontà delle parti e, solo in seguito, la legge regola quale forma contrattuale adottare per l’ex collaboratore (ossia, il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato che perduri per un periodo non inferiore a dodici mesi).

Apprendistato professionalizzante – Contratto collettivo nazionale negli studi professionali

Con la stipula del contratto collettivo nazionale di lavoro degli Studi professionali, rinnovato il 17.4.2015, si cerca altresì di rilanciare la tipologia contrattuale dell’apprendistato professionalizzante attraverso la regolamentazione delle percentuali di conferma e la definizione della componente formativa.
Per quanto riguarda il primo aspetto, il contratto collettivo stabilisce che il datore di lavoro deve aver mantenuto in servizio almeno il 20% dei lavoratori il cui contratto di apprendistato sia “venuto a scadere” nei 18 mesi precedenti per le strutture sotto i 50 dipendenti (senza la previsione del CCNL non ci sarebbe vincolo di legge) e il 50% degli apprendisti per quelle sopra i 50 dipendenti. In pratica, qualora il datore di lavoro violasse la clausola contrattuale, subirebbe la trasformazione del contratto in un normale rapporto di lavoro subordinato solo se occupa almeno 50 dipendenti; viceversa, la violazione avrebbe effetti solo sul piano privatistico. Questo perché la disciplina generale ex DLgs. 81/2015 richiede solo ai datori di lavoro che occupano non meno di 50 dipendenti di assumere nuovi apprendisti purché abbiano confermato almeno il 20% dei rapporti di apprendistato, nei 36 mesi precedenti.
Per i profili formativi, il contratto collettivo lascia svincolati i datori di lavoro da qualsiasi onere per la formazione di base, qualora la Regione di riferimento non abbia attivato l’offerta formativa pubblica nei termini indicati dalla norma, ossia entro 45 giorni dalla comunicazione di assunzione del lavoratore apprendista. Pertanto, la mancata erogazione della componente trasversale, in caso di inerzia della Regione, non comporterà alcuna responsabilità a carico dei datori di lavoro che applicano il CCNL in argomento

Demansionamento del dipendente – Rifiuto a ricoprire il nuovo ruolo – Legittimità del licenziamento per inadempimento (Cass. 19.11.2015 n. 23698)

Con la sentenza 19.11.2015 n. 23698, la Corte di Cassazione ha ribadito che, laddove il demansionamento rappresenti l’unica alternativa praticabile al licenziamento per giustificato motivo oggettivo, è onere del datore di lavoro, nel rispetto dei principi generali di buona fede e correttezza, prospettare al lavoratore la possibilità di essere assegnato a mansioni inferiori, senza che sia quest’ultimo a dover preventivamente manifestare la propria disponibilità.
Nel caso in esame, la Corte d’appello, confermando la decisione del giudice del lavoro, aveva dichiarato illegittimo il licenziamento intimato al lavoratore la cui posizione era stata soppressa a seguito di una riorganizzazione aziendale. Ciò sul fondamento che l’impresa non aveva offerto al dipendente il reimpiego nella mansione inferiore di responsabile ufficio acquisti, già vacante prima del licenziamento. Nel ricorso per Cassazione, il datore di lavoro lamenta come la Corte territoriale abbia erroneamente attribuito all’azienda l’onere di provare l’assenza di posizioni libere con mansioni inferiori, quando invece spettava al lavoratore interessato ad una simile posizione farne richiesta.
Per i giudici della Cassazione, va comunque ribadito che, se il fine perseguito è quello della conservazione del posto e non c’è altra alternativa al licenziamento, l’adibizione a mansioni inferiori con mantenimento del medesimo livello retributivo non costituisce violazione del datore di lavoro e, in tale ipotesi, deve offrire questa possibilità, ove esistente, senza che sia necessaria la preventiva richiesta del lavoratore, né un patto di demansionamento.
Tuttavia, nonostante tali presupposti, con riferimento al caso di specie – ribaltando le sentenze dei due precedenti gradi di giudizio – la Suprema Corte ha ritenuto legittimo il licenziamento, ponendo al centro l’art. 41 Cost. e ritenendo che il rispetto dei doveri di correttezza e buona fede non può spingersi fino ad imporre al datore una scelta organizzativa tale da incidere sulla sua sfera di libera iniziativa economica.

Voucher e cumulabilità con le prestazioni di sostegno al reddito

Cigs, Naspi e mobilità si possono liberamente cumulare con i voucher fino a 3 mila euro l’anno. Tutte le prestazioni d’integrazione o a sostegno del reddito fino a tale limite (netto corrispondente al lordo nominale di 4 mila euro) possono essere percepite anche se si svolge un’attività accessoria remunerata con i buoni-lavoro. Oltre tale limite invece è necessario fare una comunicazione all’Inps. L’ha precisato lo stesso istituto di previdenza nella circolare n. 170/2015.

Prospetto paga: il nuovo regime sanzionatorio

Con il presente documento informativo intendiamo mettervi al corrente che, a decorrere dal 24 settembre 2015, sono entrati in vigore i nuovi importi sanzionatori in caso di mancata o ritardata consegna al lavoratore del prospetto paga, o di omissione o inesattezze nelle registrazioni apposte su detto prospetto paga, andando così a modificare l’art. 5 della Legge 5 gennaio 1953, n. 4.

In tali casi, quindi, salvo che il fatto costituisca reato, si applica al datore di lavoro la sanzione amministrativa pecuniaria da 150 euro a 900 euro.

Si precisa sin da ora, che il Legislatore ha previsto un impianto sanzionatorio “a scaglioni” in caso di violazione plurime.

Buona lettura

Studio Associato D’Amico

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Apertura della procedura di mobilità – Criteri di scelta dei lavoratori da licenziare – Intervento delle organizzazioni sindacali (Cass. 23609/2015)

Con la sentenza n. 23609/2015 la Corte di Cassazione ha confermato il principio per cui, al fine di garantire una corretta gestione della procedura di riduzione del personale, le modalità di effettiva applicazione dei criteri di scelta dei lavoratori da collocare in mobilità risultano importanti e decisive. In particolare, secondo i giudici di legittimità, una volta individuati i criteri di scelta dei lavoratori da licenziare, indicati nella lettera di avvio della procedura trasmessa alle organizzazioni sindacali, il datore di lavoro non può più derogare a tali criteri o farne una applicazione parziale. Diversamente, infatti, le organizzazioni sindacali e gli organi amministrativi non potrebbero effettuare il controllo sulla correttezza e trasparenza della procedura.

Omesso versamento di ritenute previdenziali – Schemi di decreto approvati dal Consiglio dei Ministri

In data 13.11.2015, il Consiglio dei Ministri ha approvato due schemi di decreto legislativo in materia di depenalizzazione e di introduzione di “illeciti civili”. Tra le novità emerge l’irrilevanza penale delle omesse ritenute previdenziali sotto la soglia dei 10.000 euro annui (art. 2 co. 1-bis del DL 463/83), per le quali sarà prevista la sola sanzione amministrativa. Detta sanzione, però, potrà essere da 10.000,00 euro a 50.000,00 euro, per cui si rivela assai penalizzante. Rimane, sia ai fini penali che amministrativi, la non punibilità se il datore di lavoro versa le ritenute entro 3 mesi dalla contestazione della violazione o dall’accertamento.

Settore edile e provvedimento di sospensione dell’attività imprenditoriale

Con la lettera circolare 16.11.2015 n. 19570, il Ministero del Lavoro ha chiarito che, ai fini della revoca del provvedimento di sospensione dell’attività ex art. 14 del DLgs. 81/2008, nel settore edile non è necessario che l’ispettore attenda il completamento dell’iter formativo in materia di sicurezza da parte del lavoratore “in nero”. In particolare, il Ministero precisa che, fermo restando che il provvedimento viene adottato quando si riscontri l’impiego di personale non risultante dalla documentazione obbligatoria in misura pari o superiore al 20% dei lavoratori presenti sul luogo di lavoro, ove l’accertamento venga effettuato nel settore dell’edilizia, in relazione al quale la competenza dell’ispettore si estende anche alla sicurezza, fra i provvedimenti di questo rientra anche la prescrizione obbligatoria in materia di sorveglianza sanitaria e formazione ed informazione.
Pertanto, l’impresa che chiede la revoca del provvedimento di sospensione, oltre a pagare la prevista somma aggiuntiva, dovrà regolarizzare i lavoratori irregolari nonché, ai fini della sorveglianza sanitaria, far sottoporre il lavoratore alla visita medica. Per quanto riguarda invece gli obblighi di informazione e formazione, il Ministero richiama l’accordo Stato – Regioni del 21.12.2011, nella parte in cui stabilisce che l’obbligo formativo può essere assolto entro 60 giorni dall’assunzione. Il provvedimento di sospensione potrà quindi essere revocato qualora l’attività formativa del personale da regolarizzare sia stata comunque programmata in modo tale da concludersi entro il termine di 60 giorni dall’inizio della prestazione lavorativa.

Come cambia l’esonero contributivo per le nuove assunzioni dal 2016

Con la legge di stabilità 2015 ai datori di lavoro viene concesso l’esonero, per trentasei mesi, dal versamento dei contributi previdenziali. L’assunzione deve riguardare lavoratori che nei sei mesi precedenti l’instaurazione del rapporto di lavoro non sono occupati a tempo indeterminato presso qualsiasi datore di lavoro.

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Pratiche a pagamento presso i patronati

Il decreto del 16 settembre del ministero del lavoro, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 144 del 14 novembre scorso, individua le prestazioni erogate dagli istituti di patronato che sono escluse dal finanziamento pubblico e per le quali, di conseguenza, è possibile richiedere il pagamento del servizio ai cittadini. Rivolgersi al Patronato per farsi seguire una pratica di accredito figurativo di contributi o di richiesta al comune dell’assegno per più di tre figli, costerà non più di 24 euro.