Il DLgs. n. 151/2015 introduce l’obbligo per il medico certificatore di inviare il certificato di infortunio o malattia professionale tramite un servizio informatico, che dovrà essere realizzato dall’Inail.
Il datore di lavoro, che effettua la denuncia, invece, dovrà limitarsi ad inviare i “riferimenti al certificato medico trasmesso all’Istituto assicuratore, per via telematica, direttamente dal medico o dalla struttura sanitaria competente al rilascio”.
Attualmente è previsto l’obbligo per il datore di lavoro di inviare il certificato medico, nel momento in cui effettua la denuncia di infortunio o malattia professionale.
Per capire come funzionerà in concreto tale sistema occorrerà attendere le disposizioni attuative della norma.
Nuove assunzioni a tempo indeterminato – Esonero dei versamenti contributivi – Novità della L. 190/2014 (circ. INPS 3.11.2015 n. 178)
Con la circ. 3.11.2015 n. 178, l’INPS è tornato sul tema dell’esonero contributivo previsto dall’art. 1 co. 118 e segg. della L. 23.12.2014 n. 190 (legge di stabilità 2015) per le nuove assunzioni con contratto di lavoro a tempo indeterminato effettuate nel corso del 2015, fornendo anche ulteriori precisazioni riguardanti la legittimazione a fruire del beneficio per i datori di lavoro privati.
Tale bonus, si ricorda, consiste nell’esonero triennale dal versamento dei contributi previdenziali a carico del datore di lavoro (ferma restando l’aliquota di computo delle prestazioni pensionistiche e con esclusione dei premi e contributi dovuti all’INAIL) nel limite massimo di un importo pari a 8.060 euro su base annua.
In particolare, nell’intervento di prassi l’INPS precisa che non impedisce l’accesso all’incentivo in questione lo svolgimento, nei 6 mesi precedenti, di prestazioni lavorative in forme giuridiche e contrattuali diverse da quella del contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, quali, ad esempio, il rapporto di lavoro a termine, il rapporto di collaborazione a progetto, lo svolgimento di attività di natura professionale in forma autonoma.
Per quanto riguarda i casi particolari, invece, si specifica, tra l’altro, che l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato all’estero nei 6 mesi precedenti l’assunzione non consente la fruizione dell’esonero contributivo anche laddove, sulla base della legislazione internazionale, il precedente rapporto di lavoro non contemplasse l’obbligo assicurativo nei confronti di una gestione previdenziale nazionale.
Delega di funzioni in materia di sicurezza sul lavoro (interpello Min. Lavoro n. 7/2015)
Il Ministero del Lavoro, con l’interpello 7/2015 emesso dalla Commissione in materia di salute e sicurezza sul lavoro, ha affermato che il lavoratore individuato dal datore di lavoro non ha alcun obbligo di accettare la delega di funzioni in materia di sicurezza sul lavoro di cui all’art. 16 del DLgs. 81/2008, potendovi rinunciare.
La disposizione citata prevede la possibilità, da parte del datore di lavoro, di delegare i propri obblighi, ad eccezione della valutazione dei rischi ed il relativo documento e della designazione del responsabile del servizio prevenzione e protezione (RSPP), ad altro soggetto dotato della professionalità e delle esperienze necessarie in base alla specifica natura delle funzioni delegate. Detta delega – come indica espressamente la norma – deve essere accettata dal delegato per iscritto. Tale elemento la distingue dal conferimento di incarico ed implica la possibilità di una non accettazione della stessa.
Contributi non versati dal datore di lavoro – Divieto di rivalsa sul lavoratore dipendente (Cass. 2.11.2015 n. 22379)
Con la sentenza 2.11.2015 n. 22379, la Corte di Cassazione è intervenuta con riferimento ad un caso di demansionamento illegittimo, stabilendo che gli obblighi che derivano da eventuali contributi non versati – che riguardano retribuzioni relative a mansioni superiori rispetto a quelle “formalmente” assegnate – rimangono completamente a carico del datore di lavoro, senza che si configuri il diritto di rivalsa nei confronti del dipendente. Nel caso di specie, un datore di lavoro era stato condannato in sede d’appello, in quanto era stata accertata la non ripetibilità della somma di 2.674 euro quale quota contributiva a carico del dipendente per differenze retributive riferite ad anni arretrati. Secondo il datore di lavoro, invece, le differenze retributive (ed i conseguenti contributi) imputabili a un superiore inquadramento, erano state corrisposte solo dopo che era stato accertato giudizialmente il diritto in questione, di conseguenza, il debito contributivo era venuto a esistenza solo quale effetto del nuovo inquadramento disposto con sentenza, modificativa della posizione del dipendente. Tale tesi, però, non ha convinto i giudici di Cassazione, i quali hanno innanzitutto distinto nel rapporto di lavoro due autonomi rapporti, seppure interdipendenti: il primo tra datore di lavoro e INPS (di natura previdenziale); il secondo tra lo stesso datore e il lavoratore (rapporto contrattuale). Ciò premesso, nella sentenza in esame si osserva che qualora il datore di lavoro sia inadempiente verso il lavoratore per quote di retribuzione, l’inadempimento da parte del datore di lavoro sorge al momento del mancato pagamento delle medesime, perché l’intervento del giudice che sancisce tale obbligo ha valore di accertamento costitutivo e di condanna, tanto è vero che nella circostanza vengono liquidati anche gli interessi e rivalutazione. In altri termini, il datore di lavoro che non abbia provveduto ai versamenti dei contributi nei termini di legge, resta obbligato, in via esclusiva per l’adempimento, con esclusione del diritto di rivalsa nei confronti del lavoratore per la quota a carico di quest’ultimo.
Formazione dei lavoratori – Obblighi e durata dell’aggiornamento e sanzioni a carico del datore di lavoro
Il DLgs. 14.9.2015 n. 151 ha introdotto un “meccanismo” di gradualità da applicarsi alle sanzioni comminate ai datori di lavoro che omettono la formazione di lavoratori e dirigenti sulla sicurezza e che non inviano i propri dipendenti alle viste mediche di idoneità. In sintesi, per un numero di lavoratori non formati pari o uguale a 5, si applica la sanzione base che va da 2 a 4 mesi di arresto, o l’ammenda da 1.315,20 a 5.699,20 euro; se i lavoratori sono da 6 a 10 l’arresto va da 4 a 8 mesi e l’ammenda da 2.630,40 a 11.398,40 euro; da 6 mesi a 1 anno di arresto e ammenda da 3.954,60 a 17.097,60 euro se la violazione è riferita a più di 10 lavoratori.
Invece, per l’omesso invio del lavoratore alla visita di idoneità si applica un’ammenda da 2.192 a 4.384 euro fino a 5 lavoratori, da 4.384. a 8.768 euro da 6 a 10 lavoratori e 6.576 euro oltre i 10 lavoratori. Le sanzioni, in concreto, trovano regolarmente la loro applicazione in istituti alternativi rispetto alla condanna nel processo penale: infatti, nella maggior parte dei casi, constatata la violazione, l’organismo di vigilanza impartisce al datore di lavoro (ed eventualmente al dirigente) la prescrizione di provvedere all’adeguamento di quanto riscontrato non a norma. A seguito dell’adempimento, il contravventore sarà ammesso al pagamento di una sanzione pari a un quarto del massimo della sanzione pecuniaria prevista dalla legge con conseguente estinzione del reato. Nel caso invece, non fosse impartita la prescrizione o non fosse correttamente adempiuta, il contravventore potrà beneficiare dell’estinzione del reato richiedendo al giudice, prima dell’apertura del dibattimento, di essere ammesso all’oblazione, cioè al pagamento di una somma che in questo caso sarà pari alla metà del massimo per quanto riguarda l’omessa formazione, e un terzo del massimo per quanto riguarda la violazione dell’obbligo di sottoporre il lavoratore a visita medica nel termine prescritto della legge.
Lavoratori stagionali e Nuova assicurazione Sociale per l’Impiego (NASPI)
Nel corso di un’interrogazione presso la Commissione lavoro della Camera, il sottosegretario al Lavoro è intervenuto in materia di NASpI, precisando che, dopo la norma transitoria introdotta per il 2015, non ci saranno altri interventi riguardanti il calcolo della durata del relativo trattamento per i lavoratori stagionali. Sul punto, si ricorda che l’art. 4 del DLgs. 4.3.2015 n. 22 ha stabilito che la NASpI abbia una durata pari alla metà delle settimane di contribuzione degli ultimi 4 anni. Le settimane lavorate, però, possono essere “valorizzate” una volta sola. Questo significa, per esempio, che un lavoratore stagionale impiegato per 24 settimane, al termine del periodo di lavoro può contare su 12 settimane di NASpI perché gli eventuali periodi di impiego degli anni precedenti già utilizzati per ottenere l’ammortizzatore sociale non sono più utili.
Quindi, ipotizzando che lavori solo 24 settimane all’anno, il lavoratore avrà sempre solo al massimo 12 settimane di NASpI.
Con il DLgs. 148/2015 è stato introdotto, solo per il 2015, un meccanismo di favore per i lavoratori stagionali del turismo e degli stabilimenti termali, valorizzando anche i periodi contributivi già utilizzati in passato, in modo da garantire un trattamento fino a 6 mesi. Tuttavia, come sottolineato nell’interrogazione parlamentare, dal prossimo anno si applicherà la normativa originaria del DLgs. 22/2015, con conseguente riduzione della NASpI per questo novero di lavoratori.
Rifiuto del lavoratore alla trasformazione del contratto a tempo pieno in contratto a tempo parziale – Illegittimità del licenziamento (Cass. 27.10.2015 n. 21875)
Con la sentenza 27.10.2015 n. 21875, la Corte di Cassazione ha accertato l’illegittimità del licenziamento irrogato al lavoratore, nel contesto di una situazione finanziaria aziendale negativa, sul presupposto del suo rifiuto alla trasformazione a tempo parziale del rapporto di lavoro.
Nel caso di specie, ad un dipendente di un centro medico era stato proposto il dimezzamento dell’orario di lavoro e della retribuzione, a fronte di una dedotta necessità di riduzione dei costi resa necessaria dalla intervenuta scadenza di una convenzione con la ASL locale per la fornitura di esami specialistici. In risposta, il lavoratore aveva formulato una proposta alternativa, da cui la società aveva tratto la decisione di risolvere il rapporto di lavoro, ritenendo non più aziendalmente utilizzabile, nel mutato contesto finanziario, la prestazione del lavoratore a tempo pieno.
In seguito all’azione in giudizio promossa dal dipendente, mentre il Tribunale e la Corte d’appello avevano rigettato il ricorso e confermato la legittimità del licenziamento per essere venuta meno la disponibilità aziendale della posizione a tempo pieno ricoperta dal dipendente, la Suprema Corte ha invece espresso una decisione di segno contrario, valorizzando il dato testuale dell’art. 5 co. 1 del DLgs. 25.2.2000 n. 61, oggi sostituito dall’art. 8 co. 1 del DLgs. 81/2015, per cui non costituisce giustificato motivo di licenziamento il rifiuto del lavoratore di trasformare il rapporto a tempo parziale.
Tuttavia, nella sentenza in esame si precisa, altresì, che tale disposizione non equivale ad un divieto assoluto di licenziamento, dovendo essere letta la norma in relazione ai principi espressi in materia di part time dalla Direttiva 97/81/CE del 15.12.1997, per cui, posta l’invalidità del licenziamento ricollegato al mero rifiuto di trasformare il regime orario, resta aperta la possibilità di procedere al licenziamento per altre ragioni ricollegate alle necessità di funzionamento aziendali.
Lavoro a tempo parziale e novità del DLgs 81/2015
Il DLgs. 81/2015 riforma la disciplina del lavoro a tempo parziale, cercando di attribuire una maggiore flessibilità, pur compatibilmente con l’orientamento della giurisprudenza in materia.
In particolare, viene previsto che in assenza di disciplina contrattuale, il datore di lavoro possa chiedere al lavoratore una prestazione di lavoro supplementare (ovvero quello prestato oltre l’orario concordato dalla parti), solo entro il limite del 25% delle ore di lavoro settimanali concordate. Se tale limite viene rispettato, il lavoratore non può rifiutare la prestazione supplementare, a meno che non esistano comprovate esigenze lavorative, di salute, familiari o di formazione professionale. Il lavoro supplementare è retribuito con una maggiorazione del 15% della retribuzione globale oraria di fatto.
Quanto sopra descritto deve essere reso compatibile con quanto affermato dalla Corte di Cassazione nella sentenza 11905/2011, secondo cui l’utilizzo continuo di lavoro supplementare può essere presupposto per la trasformazione in contratto a tempo pieno.
Possono, poi, essere pattuite clausole elastiche, relative alla collocazione temporale della prestazione lavorativa, che, in assenza di disciplina del contratto collettivo, devono essere pattuite per iscritto davanti alle commissioni di certificazione, con facoltà del lavoratore di farsi assistere da un sindacato o da un avvocato o consulente del lavoro.
Essenziale, secondo la riforma, è la forma scritta del contratto a tempo parziale, in assenza della quale il contratto, su richiesta del lavoratore, può essere dichiarato dal giudice a tempo pieno.
Se manca l’indicazione della durata della prestazione, il giudice dichiara la sussistenza tra le parti di un rapporto di lavoro a tempo pieno a partire dalla pronuncia. Se l’omissione concerne la sola collocazione temporale dell’orario, il giudice determina le modalità temporali di svolgimento della prestazione a tempo parziale.
La gestione non corretta dei contratti part time può comportare applicazione di pesanti sanzioni amministrative.
Tra le altre novità contenute nel citato provvedimento, poi, si ricorda l’estensione del diritto di trasformare il contratto full time in part time anche per i lavoratori affetti da una patologia cronica, non solo oncologica. La norma fa riferimento al concetto di “gravi patologie cronico-degenerative ingravescenti”, dalla cui interpretazione dipenderà molta dell’applicazione della disciplina della trasformazione.
Lavoro subordinato e novità del ddl. di stabilità 2016
Tra le disposizioni in materia di lavoro contenute nel Ddl. di stabilità 2016 approvato dal Governo lo scorso 15.10.2015, si segnalano alcune significative misure a favore di imprese e dipendenti, quali ad esempio:
– la possibilità di accedere anche per il 2016 all’incentivo contributivo per le assunzioni a tempo indeterminato;
– la reintroduzione dell’imposta sostitutiva del 10% sui premi di produttività.
Per quanto riguarda la prima misura, si conferma dunque lo sgravio contributivo per le nuove assunzioni a tempo indeterminato effettuate nel corso del 2016, seppur con importi e valori ridotti rispetto alle disposizioni ex art. 1 co. 118 della L. 190/2014, poiché per il prossimo anno si prevede un esonero dal versamento del 40% (anziché del 100%) dei complessivi contributi previdenziali a carico dei datori di lavoro, riconosciuto per un periodo massimo di 24 mesi (e non più 36 mesi) e nel limite massimo di un importo di esonero pari a 3.250 euro su base annua (anziché gli 8.060 euro del 2015).
Un’ulteriore misura di favore, contenuta nel Ddl. in esame, consiste nella reintroduzione dell’imposta sostitutiva del 10% sui premi di produttività erogati ai lavoratori del settore privato, entro il limite di importo complessivo di 2.000 euro lordi – elevabile a 2.500 euro in caso di coinvolgimento paritetico dei dipendenti – e utilizzabile per tutti i redditi fino a 50.000 euro. In relazione a quest’ultima misura, il Ddl di stabilità 2016 chiarisce anche la possibilità di convertire gli importi dei premi in piani di welfare aziendale che consentano ai dipendenti di fruire di beni e servizi. Si tratta, quindi, di una misura finora non molto diffusa ma apprezzata dai lavoratori nelle imprese che li hanno adottati, dal momento che spesso consentono l’accesso a prestazioni che altrimenti risulterebbero troppo costose ai singoli
Lavoro irregolare: le nuove sanzioni
L’articolo 22 del Dlgs. 151/2015, pubblicato sulla Gazzetta ufficiale del 23 settembre 2015, cambia, nuovamente, il regime sanzionatorio per l’impiego di lavoratori subordinati senza preventiva comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro.
Queste le novità:
– la sanzione è rimodulata a seconda della durata dell’impiego “in nero” del lavoratore:
· da € 1.500,00 a € 9.000,00 per ogni lavoratore irregolare impiegato sino a 30 giornate di effettivo lavoro;
· da € 3.000,00 a € 18.000,00 per ogni lavoratore irregolare impiegato da 31 a 60 giorni di effettivo lavoro;
· da € 6.000,00 a € 36.000,00 per ogni lavoratore irregolare impiegato per oltre 60 giorni di effettivo lavoro;
· le suddette sanzioni sono aumentate del 20% se l’irregolarità interessa lavoratori stranieri non in regola con il permesso di soggiorno o minori in età non lavorativa;
· non si applica più l’aumento del 30% dell’importo delle sanzioni introdotto a far data dal 22.2.2014 dalla legge 9/2014;
· è stata eliminata la maggiorazione per ciascuna giornata di lavoro effettivo;
· non è più previsto l’aumento del 50% dell’importo delle sanzioni civili connesse all’evasione dei contributi e dei premi riferiti a ciascun lavoratore irregolare;
· la violazione è diffidabile in sede di verifica, salvo il caso di impiego di lavoratori stranieri non in regola col permesso di soggiorno o minori in età non lavorativa.
La diffida comporta, per i lavoratori irregolari ancora in forza presso il datore di lavoro e fatta salva l’ipotesi in cui risultino regolarmente occupati per un periodo lavorativo successivo, la stipulazione di un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, anche a tempo parziale con riduzione dell’orario di lavoro non superiore al cinquanta per cento dell’orario a tempo pieno, o con contratto a tempo pieno e determinato di durata non inferiore a tre mesi, nonché il mantenimento in servizio degli stessi per almeno tre mesi. In tale ipotesi, la prova della avvenuta regolarizzazione e del pagamento delle sanzioni e dei contributi e premi previsti, ai sensi dell’articolo 13, comma 5, del decreto legislativo 23 aprile 2004, n. 124, deve essere fornita entro il termine di centoventi giorni dalla notifica del relativo verbale.
Le nuove disposizioni si applicano dal 24 settembre 2015, data di entrata in vigore del Dlgs. n. 151 e valgono per le violazioni commesse da tale data.