L’indennità di mobilità e la NASpI sono ammortizzatori sociali che spettano ai lavoratori in caso di disoccupazione involontaria. Tuttavia, mentre la mobilità può essere usufruita a seguito di un procedimento di licenziamento collettivo ex artt. 4 e 24 della L. 223/91, la NASpI trova applicazione in presenza di licenziamento individuale, licenziamento con accettazione dell’offerta di conciliazione ex art. 6 del DLgs. 23/2015, dimissioni per giusta causa e risoluzione consensuale con la procedura prevista dall’art. 7 della L. 604/66.
Presentare erroneamente all’INPS una domanda di NASpI anziché una domanda di mobilità non è certo un’ipotesi remota e può comportare il rischio di perdere i 12 mesi d’indennità oltre a ulteriori conseguenze sull’anzianità contributiva del lavoratore.
Tuttavia, si ricorda che l’Istituto prevede comunque la possibilità di trasformare una domanda già presentata per ottenere il predetto sussidio di disoccupazione (NASpI) in una domanda per l’indennità di mobilità ordinaria, ma occorre che la richiesta di conversione sia “esplicita” e che venga inviata entro i termini di decadenza per la presentazione della mobilità, ossia entro 68 giorni dal licenziamento.
Notifica della cartella di pagamento – Prescrizione per gli atti successivi – Termine applicabile (Cass. SS.UU. 17.11.2016 n. 23397)
Cass. SS.UU. 17.11.2016 n. 23397 ha sancito che, in merito alle entrate pubbliche, tra cui tributi e contributi, i termini di prescrizione minori di dieci anni permangono quand’anche l’atto amministrativo con cui vengono riscossi sia rimasto inoppugnato.
L’art. 2953 c.c., che comporta l’applicazione, in ogni caso, della prescrizione di dieci anni, opera solo se sul credito da riscuotere si è formato il giudicato, non potendo ad esso equipararsi l’atto amministrativo inoppugnato.
Ciò non vale solo per le cartelle di pagamento, ma anche per gli accertamenti esecutivi (art. 29 del DL 78/2010) e gli avvisi di addebito INPS (art. 30 del DL 78/2010).
Il principio enunciato opera ad esempio per i termini di prescrizione quinquennali dell’art. 3 co. 9 della L. 335/95 (contributi previdenziali e assistenziali) e dell’art. 20 co. 3 del DLgs. 472/97 (sanzioni amministrative tributarie).
Anzianità contributiva – Modalità di computo – Part time verticale (Cass. 10.11.2016 n. 22936)
La Corte di Cassazione, con la sentenza 10.11.2016 n. 22936, ha deciso il caso di un lavoratore assunto con un part – time verticale, a cui l’INPS aveva riconosciuto l’annualità contributiva solo per i periodi lavorati.
Nel caso di specie, la Suprema Corte, contrariamente a quanto affermato dalla Corte territoriale, ha disposto il pieno accredito della contribuzione al ricorrente per gli anni di part-time verticale, in virtù del principio di non discriminazione garantito a tutti i lavoratori “atipici”, secondo cui il dipendente part-time non deve ricevere un trattamento meno favorevole rispetto a quello dei colleghi a tempo pieno.
Al riguardo, anche la Corte di Giustizia UE, con la sentenza 10.6.2010, ha sancito che l’anzianità contributiva dei part-time, ai fini del diritto a pensione, deve essere calcolata come se il dipendente avesse occupato un posto a tempo pieno, prendendo in considerazione anche i periodi non lavorati.
Professionisti iscritti alla Gestione separata INPS – Contribuzione dovuta dal 2017 – Novità del Ddl. di bilancio
Il Ddl. di bilancio 2017 dispone che, dall’anno 2017, l’aliquota contributiva pensionistica per i lavoratori autonomi titolari di partita IVA iscritti alla Gestione separata INPS, che non risultino assicurati presso altre forme previdenziali obbligatorie, né titolari di pensione, è stabilita al 25%.
Tale norma:
– si pone in linea con i provvedimenti che, negli scorsi anni, sono intervenuti sulla contribuzione dovuta dai c.d. professionisti “senza Cassa”, iscritti alla sola Gestione separata e non pensionati, al fine di ridurne l’entità rispetto a quella programmata, determinando per 4 anni (dal 2013 al 2016) il mantenimento dell’aliquota contributiva previdenziale nella misura del 27%;
– va oltre gli stessi, essendo diretta a ridurre la suddetta aliquota al 25% (cui va sommato il contributo aggiuntivo assistenziale, attualmente pari allo 0,72%), una volta per tutte, in via strutturale, dal 2017.
Con riguardo, invece, agli altri iscritti alla Gestione, l’aliquota contributiva previdenziale applicabile:
– ai soggetti (titolari o meno di partita IVA) provvisti anche di altra tutela pensionistica obbligatoria o pensionati, ha raggiunto dal 2016 la misura a regime del 24% (senza assoggettamento ad alcun contributo assistenziale);
– ai lavoratori “parasubordinati” (collaboratori coordinati e continuativi e figure assimilate, senza partita IVA), aumenterà nuovamente dal 31% al 32% (cui andrà aggiunto lo 0,72% a titolo assistenziale).
Anticipo pensionistico (Ape) – Tipologie e modalità di accesso
Per “Ape” (o anticipo pensionistico) si intende un canale di uscita dal mercato del lavoro auto-finanziata o di “finanziamento integrativo” (per i lavoratori che intendano rimanere attivi, ad esempio con un impegno part-time, come sembrerebbe possibile alla luce del disegno di legge di bilancio), cui sarà possibile ricorrere, in via sperimentale, dal prossimo mese di maggio fino alla fine del 2018 (quando il Governo deciderà se rendere, o meno, strutturale la misura).
Sono previste diverse tipologie:
– l’Ape volontaria, per i lavoratori iscritti all’AGO, alle forme esclusive o sostitutive della medesima ovvero alla Gestione separata, con almeno 63 anni di età e 20 di contributi;
– l’Ape aziendale (o d’impresa), basata su un accordo sindacale e comportante il pagamento di contributi aggiuntivi a carico del datore di lavoro o degli enti bilaterali o dei fondi di solidarietà categoriali, per i lavoratori aventi i medesimi requisiti richiesti per l’Ape volontaria;
– l’Ape social, per i lavoratori iscritti all’AGO, alle forme esclusive o sostitutive della medesima ovvero alla Gestione separata, con almeno 63 anni di età e 30 di contributi, se rientranti nelle categorie delineate nel Ddl di bilancio (disoccupati privi di sussidi da almeno 3 mesi, persone che assistano familiari con handicap, lavoratori con riduzione della capacità lavorativa almeno del 74%), oppure 36 anni di contributi, se impiegati da almeno 6 anni in attività pericolose (anch’esse delineate nel Ddl).
Nell’attesa della definizione di ulteriori aspetti tramite DPCM, si prevede che, a livello procedurale, per le prime due tipologie, sarà necessario richiedere all’INPS, prima, la certificazione del diritto all’Ape e, successivamente, l’attivazione dell’anticipo, con contemporanea domanda per la pensione vera e propria.
Diritto al pensionamento per i lavoratori esodati (DM 1.7.2016 n. 96512)
Con il DM 1.7.2016 n. 96512, recentemente pubblicato in G.U., è stato prorogato anche per questo anno l’ammortizzatore sociale previsto per 36 persone c.d. “esodati” che non erano state incluse nell’originario contingente di 10.000 lavoratori che potevano accedere alla pensione con le regole previgenti alla riforma operata dal DL 201/2011 (riforma Monti-Fornero).Sul punto, si ricorda che la questione esodati trae origine dalle disposizioni ex DL 78/2010, con cui sono state previste delle finestre mobili, in base alle quali tra la maturazione del diritto alla pensione e la decorrenza della stessa deve passare un periodo di 12 o di 18 mesi.
Tale provvedimento ha comportato conseguenze negative per molti lavoratori che già nel 2010 erano in mobilità o esodati e a carico dei fondi di settore, i quali si sarebbero trovati senza sostegno al reddito e senza assegno previdenziale fino alla pensione.
Per risolvere il problema è stata prevista la possibilità per 10.000 persone di andare in pensione con le vecchie regole, anche a fronte della maturazione dei requisiti dopo il 2011. Tuttavia, avendo in seguito appurato che il numero di esodati era maggiore, per gli esclusi dal contingente dei 10.000 è stata decisa la proroga della durata del sostegno al reddito per il periodo compreso tra la maturazione e la decorrenza della pensione, da concedersi ogni anno con un apposito decreto del Ministero del Lavoro.
Cumulo della pensione con i redditi da lavoro autonomo – Dichiarazione reddituale – Modalità e termini di presentazione (messaggio INPS 23.9.2016 n. 3817)
I pensionati appartenenti a determinate categorie soggette al regime di incumulabilità (nella misura del 50%), che nel 2015 hanno svolto attività di lavoro autonomo, dovranno inoltrare all’Ente previdenziale di competenza, entro il 30.9.2016, un’apposita comunicazione che indica i redditi conseguiti per tale attività.
Con il messaggio 23.9.2016 n. 3817, l’INPS ha fornito alcuni chiarimenti e le istruzioni per l’adempimento in questione, previsto dall’art. 10 del DLgs. 30.12.1992 n. 503, il quale ha disciplinato il divieto di cumulo di determinate categorie di pensione con i redditi da lavoro autonomo (si tratta di un’incumulabilità parziale nella misura del 50% fino a concorrenza dei redditi stessi).
Da un punto di vista operativo, l’invio della dichiarazione potrà avvenire con modalità on line, accedendo innanzitutto all’apposita sezione “Servizi per il cittadino” del sito www.inps.it previa autenticazione con PIN, selezionando la voce “Dichiarazioni Reddituali – Red Semplificato”. In alternativa, è possibile scaricare il modulo 503 AUT dalla sezione “MODULI” del sito, compilarlo e inviarlo a mezzo PEC alla competente sede INPS.
In analogo modo si potrà inviare anche la dichiarazione a preventivo per il 2016, prevista per coloro che svolgono, nel corrente anno, attività di lavoro autonomo, nella quale occorre indicare il reddito che prevedono di conseguire nel medesimo periodo.
Misure di contrasto alla povertà – Accesso al Sostegno per l’Inclusione Attiva (SIA) – Modalità
Dal 2.9.2016 è possibile presentare la domanda per accedere al Sostegno per l’Inclusione Attiva (SIA), ossia la misura di contrasto alla povertà disciplinata dal DM 26.5.2016, che si concretizza nell’erogazione di un sussidio economico alle famiglie in condizioni economiche disagiate, in cui almeno un componente sia minorenne oppure sia presente un figlio disabile o una donna in stato di gravidanza accertata. Tuttavia, è necessario che il richiedente aderisca ad un progetto personalizzato di attivazione sociale e lavorativa sostenuto da una rete integrata di interventi, individuati dai servizi sociali dei Comuni, in rete con gli altri servizi del territorio (i centri per l’impiego, i servizi sanitari, le scuole) e con i soggetti del terzo settore, le parti sociali e tutta la comunità. In sintesi, il beneficiario sarà tenuto a svolgere specifiche attività quali, ad esempio, la frequenza di contatti con i servizi del Comune responsabili del progetto, la ricerca attiva di lavoro, l’adesione a iniziative di formazione o di politica attiva o di attivazione, frequenza e impegno scolastico, e così via.
Con riferimento ai requisiti economici, per i soggetti interessati si richiede un ISEE inferiore o uguale a 3.000 euro, e che non siano già beneficiari di altri trattamenti di natura previdenziale e assistenziale superiori a 600 euro mensili, oppure che non fruiscano di strumenti di sostegno al reddito previsti in caso di disoccupazione involontaria, come la NASPI o l’ASDI.
Il bonus verrà erogato bimestralmente attraverso una carta di pagamento elettronica (Carta SIA) dall’INPS e potrà avere un importo variabile da 80 a 400 euro su base mensile, a seconda del numero dei componenti del nucleo familiare.
Prescrizione dei contributi Inps
L’art. 3 co. 9 della L. 335/95 stabilisce che i contributi previdenziali si prescrivono in cinque anni, e, ai sensi dell’art. 2935 c.c., la prescrizione decorre da quando il diritto può essere fatto valere.Tale momento coincide con il giorno successivo a quello di scadenza del pagamento dei contributi.
Per i contributi che si dichiarano sul quadro RR della dichiarazione dei redditi, quindi:
– se si tratta di contributi eccedenti il minimale, la prescrizione comincia a decorrere dallo spirare del termine per il versamento del saldo della dichiarazione dei redditi, ex art. 18 co. 4 del DLgs. 241/97 (circ. INPS 25.5.2005 n. 69);
– se si tratta di contributi fissi, la prescrizione decorre dal giorno 17 del secondo mese successivo al trimestre (artt. 17 co. 1 e 18 co. 1 del DLgs. 241/97).
Rilevano eventuali differimenti per termini scadenti di sabato, in giorno festivo, nel periodo feriale o per effetto di proroga.
Omesso versamento di ritenute previdenziali ed assistenziali – Novità apportate dal DLgs. 8/2016
L’art. 3 del DLgs. 8/2016 ha modificato l’art. 2 del DL 463/1983 prevedendo la reclusione fino a tre anni e la multa fino a 1.032 euro in caso di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali operate dal datore di lavoro sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti per un importo superiore a 10.000 euro annui. Se il mancato versamento non supera questa soglia si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da 10.000 a 50.000 euro.La circolare INPS n. 121/2016 ha chiarito che, ai fini della determinazione dell’importo omesso non si considera – come avviene invece per le ritenute fiscali – il periodo di imposta, bensì si tiene conto dei versamenti effettuati dal 16 gennaio (relativi al mese di dicembre dell’anno precedente) sino al 16 dicembre (relativi al mese di novembre dell’anno di riferimento). Peraltro, il datore di lavoro non è punibile, né è assoggettabile alla sanzione amministrativa, quando provvede al versamento delle ritenute entro tre mesi dalla contestazione o dalla notifica dell’avvenuto accertamento della violazione.
Relativamente alla sanzione amministrativa, peraltro, si ricorda che l’autore dell’illecito che non provveda al pagamento nel termine dei tre mesi assegnati, potrà versare, entro il termine dei successivi 60 giorni, l’importo della sanzione amministrativa quantificata nella misura ridotta in base all’art. 16 della L. 689/1981.