Il TAR della Lombardia, sentenza 29.11.2016 n. 2259, respingendo un ricorso del Ministero dell’Economia e delle finanze avverso una delibera tardiva comunale che modificava l’aliquota TARI, ha affermato che per poter impugnare una delibera è necessario poter ricavare un’utilità dall’annullamento degli atti impugnati, dato che, in mancanza di deduzioni specifiche in ordine all’interesse ad agire, la domanda giudiziaria si traduce in una mera ed inammissibile richiesta di ripristino della legalità violata. Il Ministero quindi avrebbe dovuto dimostrare quale ulteriore risultato intendeva perseguire, oltre quello già legislativamente previsto.
Il TAR rileva, inoltre, che le disposizioni di settore prevedono già espressamente la conseguenza per il mancato rispetto del termine di approvazione delle aliquote delle entrate tributarie, ovvero l’applicazione delle aliquote precedentemente in vigore, con la conseguenza che per tutti quei Comuni che hanno approvato le nuove aliquote dopo il 30.7.2015, sia in aumento che in diminuzione, varranno quelle già applicate per il 2014 (eccezion fatta per i Comuni siciliani che hanno avuto una proroga fino al 30 settembre e i Comuni del Friuli che hanno potuto posticipare la scadenza grazie all’autonomia regionale).
Decadenza dall’agevolazione per ragioni non imputabili alla parte acquirente – Responsabilità del venditore – Condizioni e limiti (Cass. 30.11.2016 n. 24400)
La Corte di Cassazione, con la sentenza 30.11.2016 n. 24400, ha deciso che anche la parte venditrice è solidalmente responsabile della maggiore imposta dovuta per il caso del mancato conseguimento dell’agevolazione “prima casa” richiesta dall’acquirente di un’abitazione, ma negata dal Fisco per ragioni non imputabili alla parte acquirente.
Nella fattispecie considerata è stato ceduto un appartamento che l’Amministrazione ha giudicato avere caratteristiche “di lusso”, revocando pertanto il beneficio fiscale di cui il contribuente si era avvalso in sede di registrazione del contratto di compravendita.
Nonostante la normativa sulle caratteristiche “di lusso” delle abitazioni non sia più attualmente vigente, il caso oggetto di analisi è comunque interessante perché oggi l’agevolazione “prima casa” può essere domandata solo per abitazioni classificate in Catasto in categorie diverse dalle categorie A/1, A/8 e A/9.
Nella maggior parte dei casi si decade dall’agevolazione “prima casa” per motivi imputabili all’acquirente: ad esempio, perché ha dichiarato, difformemente dal vero, di risiedere o di lavorare nel Comune in cui è ubicata la casa oggetto di acquisto agevolato; oppure perché non ha rispettato l’impegno di trasferire la sua residenza in detto Comune entro 18 mesi dal rogito; oppure perché già è proprietario di un’altra casa nel medesimo Comune; oppure perché è proprietario, in qualsiasi parte del territorio nazionale, di altra abitazione per il cui acquisto ha già richiesto l’agevolazione (e non la aliena entro un anno dal nuovo acquisto).
Secondo la Cassazione, tuttavia, la decadenza dall’agevolazione “prima casa” può verificarsi anche per ragioni non imputabili alla parte acquirente; in questi casi anche la parte venditrice deve mettere in conto una sua possibile responsabilità in caso di mancata concessione dell’agevolazione
Accertamento notificato alla società – Valenza nei confronti del socio (Cass. 9.8.2016 n. 16713)
Secondo la sentenza Cass. 9.8.2016 n. 16713, ai fini della riscossione della pretesa tributaria, non è necessario che l’Ufficio notifichi direttamente al socio di società di persone l’avviso di accertamento o la cartella di pagamento già formalmente comunicato alla società, in quanto la notifica di un atto tributario attraverso detta società produce effetti di prescrizione anche per il socio.
Tale presupposto muove dalla considerazione che la responsabilità illimitata dei soci, in merito alle obbligazioni tributarie, rappresenta un’incombenza di tipo diretto per la quale il debito della società si trasforma in debito del socio.
In sostanza, nelle società personali la responsabilità illimitata del socio è indiretta e si confonde con quella della società. Pertanto, la notifica dell’atto impositivo alla società personale produce effetti anche nei confronti del socio relativamente alla riscossione futura delle somme ed in termini di prescrizione.
Nel caso di specie, è stata notificata al socio di una snc una cartella di pagamento decorsi 10 anni dalla notifica dell’avviso di accertamento alla società.
Prestazioni lavorative durante le festività – Obbligo previsto dalla contrattazione collettiva – Illegittimità (Cass. 4.11.2016 n. 22481)
Con la sentenza 4.11.2016 n. 22481, la Corte di Cassazione ha affermato il principio di diritto secondo cui la possibilità di svolgere l’attività lavorativa nelle festività infrasettimanali non significa che la trasformazione da giornata festiva a lavorativa sia rimessa alla volontà esclusiva del datore di lavoro o a quella del lavoratore, dovendo – invece – derivare da un loro accordo.
Inoltre, tale accordo deve provenire dalle parti del contratto individuale e non da quelle collettive, non potendo le organizzazioni sindacali derogare in senso peggiorativo ad un diritto del singolo lavoratore, a meno che egli abbia loro conferito esplicito mandato in tal senso.
Pertanto, come nel caso della sentenza in esame, sono da ritenersi nulle le clausole di contratti collettivi che prevedano l’obbligo dei dipendenti di lavorare nei giorni di festività infrasettimanale, in quanto incidenti sul diritto dei lavoratori di astenersi dalla prestazione, qualificabile come indisponibile da parte delle organizzazioni sindacali.
Rideterminazione del valore dei terreni – Asseverazione della perizia in data successiva all’atto di vendita – Ammissibilità (C.T. Reg. Cagliari 24.5.2016 n.190/8/16)
La C.T. Reg. Cagliari 24.5.2016 n. 190/08/2016 ha affermato che, ai fini della rivalutazione ex art. 7 della L. 28.12.2001 n. 448, la perizia di rivalutazione del valore del terreno può essere asseverata in data successiva all’atto di vendita.
A tal proposito, i giudici di secondo grado – richiamando la Cass. 28.11.2013 n. 26714 – hanno osservato che il citato art. 7 consente di assumere come valore iniziale quello determinato sulla base di una perizia giurata anche se asseverata in una data successiva all’atto di vendita. Non esistono, infatti, preclusioni di legge e risultano irrilevanti le diverse previsioni derivanti da atti non normativi, come le circolari amministrative.
Tale pronuncia è allineata al consolidato orientamento della Cassazione (cfr. Cass. 14.5.2014 n. 10561, Cass. 28.11.2013 n. 26714 e Cass. 30.12.2011 n. 30729), nonché a quello espresso nella ris. Agenzia delle Entrate 27.5.2015 n. 53.
Deducibilità delle polizze assicurative stipulate dalla società per rischio morte degli amministratori – Condizioni (C.T. Prov. Agrigento 27.4.2015 n. 1840/7/15)
Ad avviso della C.T. Prov. Agrigento 27.4.2015 n. 1840/7/15, sono deducibili in capo alla società in accomandita semplice i premi pagati per la polizza relativa al rischio di morte dell’amministratore soltanto qualora la sopravvivenza in vita dell’assicurato assuma un rilievo decisivo o, quantomeno, determinante per la sopravvivenza stessa dell’attività economica.
Secondo i giudici, in linea di principio possono essere inclusi tra i costi deducibili le spese sostenute per salvaguardare l’attività aziendale e, tra queste, anche le spese assicurative necessarie a coprire i rischi connessi alla perdita di persone fondamentali per il proseguimento dell’attività. Tuttavia, ai fini della deducibilità dei premi pagati dalla società, è necessario che il programma assicurativo rispetti il requisito dell’inerenza, che nel caso di specie si sostanzia nella stipula da parte della società di una polizza di assicurazione in cui la veste di “assicurato” sia assunta da uno o più prestatori la cui sopravvivenza in vita assuma un rilievo decisivo o, quantomeno, determinante per la sopravvivenza stessa dell’attività economica esercitata.
Mancata impugnazione della delibera assembleare – Cessione delle partecipazioni senza pagamento del corrispettivo – Simulazione (Trib. Roma 19.8.2016)
Il Tribunale di Roma, con l’ordinanza 19.8.2016, ha stabilito che non è configurabile la simulazione del conferimento di capitale effettuato in base a una delibera assembleare di aumento delle partecipazioni sociali.
Nel caso di specie, poi, il Tribunale ha osservato che le parti ricorrenti, per contestare la validità dell’operazione di aumento di capitale sociale, avrebbero dovuto impugnare la relativa delibera assembleare nel termine stabilito dall’art. 2479-ter c.c. (relativo all’invalidità delle decisioni dei soci). In mancanza, pertanto, la delibera risultava definitivamente produttiva di effetti.
D’altro canto, la cessione di partecipazioni sociali senza il pagamento del corrispettivo da parte del cessionario non è comunque causa di invalidità.
Responsabilità dei soci ex art. 36 del DPR 602/73 – Presunzione di distribuzione degli utili extracontabili (C.T. Reg. Ancona 8.3.2016 n. 150/3/16)
I soci di società di capitali, ai sensi dell’art. 36 co. 3 del DPR 602/73, rispondono in proprio dei debiti fiscali se, nel periodo della liquidazione e nei due anni antecedenti, hanno ricevuto beni sociali o denaro in assegnazione dai liquidatori o dagli amministratori.
Per la C.T. Reg. Ancona 8.3.2016 n. 150/3/16, l’ente impositore può azionare la responsabilità predetta anche se l’avvenuto incasso di utili neri (presupposto per la stessa) deriva dalla presunzione di distribuzione degli utili extracontabili ammessa dalla giurisprudenza per le società di capitali a ristretta base sociale.
I giudici osservano poi che la responsabilità dei soci ha fondamenti diversi da quella, sempre disciplinata dall’art. 36 del DPR 602/73, relativa ai liquidatori e agli amministratori, e non può essere con questa cumulata.
Società di comodo – Impossibilità di ottenere maggiori profitti per le condizioni di mercato – Disapplicazione della disciplina – Condizioni (C.T. Reg. Bologna 18.10.2016 n. 2655/12/16)
Secondo la C.T. Reg. Emilia Romagna n. 2655/12/16, la società i cui ricavi sono integralmente costituiti da proventi per l’utilizzo del marchio, sulla base di un contratto stipulato con la società controllante, non è soggetta alla disciplina delle società di comodo di cui all’art. 30 della L. 724/94; ciò, in quanto la situazione per cui i ricavi effettivi sono inferiori a quelli minimi è estranea alla volontà della società stessa e integra una delle “oggettive situazioni” idonee a disapplicare la disciplina.
La Commissione rigetta la tesi dell’Ufficio sottolineando altresì che, alla luce della circostanza che la società era interamente controllata, un eventuale adeguamento del contratto volto a garantire il superamento dei parametri minimi di legge per i ricavi della controllata avrebbe determinato, simmetricamente, maggiori costi per la controllante, con contestuale riduzione del suo reddito imponibile.
In aggiunta, i giudici sottolineano come la disciplina delle società di comodo deve essere orientata al principio di capacità contributiva di cui all’art. 53 della Costituzione.
Giustificato motivo oggettivo ritenuto insussistente – Natura discriminatoria del licenziamento (Cass. 3.11.2016 n. 22323)
Con la sentenza n. 22323/2016, la Corte di Cassazione ha definito come discriminatorio il licenziamento del dipendente disposto per un giustificato motivo oggettivo ritenuto insussistente, mentre le effettive ragioni del recesso risiedono nel precedente ricorso al giudice del lavoro, da parte dello stesso lavoratore, per far rimuovere uno stato di dequalificazione professionale.
Sul punto, la Cassazione osserva che il divieto di licenziamento discriminatorio, alla luce dei principi costituzionali e della giurisprudenza comunitaria, è suscettibile di interpretazione estensiva, ricomprendendo, oltre alle ipotesi tipizzate dal legislatore, anche quella del licenziamento per ritorsione o rappresaglia.
In tale ultimo nucleo di motivi vietati, aggiunge la Cassazione, si iscrive l’ingiusta e arbitraria reazione dell’azienda a un comportamento legittimo del lavoratore.
Inoltre, nella pronuncia in esame si precisa che, al fine di poter ritenere il licenziamento discriminatorio, il motivo ritorsivo deve essere stato l’unica ragione determinante, precisando che la prova relativa a carico del lavoratore può essere raggiunta anche per presunzioni, come conseguenza ragionevolmente possibile di un fatto noto.