Anzianità contributiva – Modalità di computo – Part time verticale (Cass. 10.11.2016 n. 22936)

La Corte di Cassazione, con la sentenza 10.11.2016 n. 22936, ha deciso il caso di un lavoratore assunto con un part – time verticale, a cui l’INPS aveva riconosciuto l’annualità contributiva solo per i periodi lavorati.
Nel caso di specie, la Suprema Corte, contrariamente a quanto affermato dalla Corte territoriale, ha disposto il pieno accredito della contribuzione al ricorrente per gli anni di part-time verticale, in virtù del principio di non discriminazione garantito a tutti i lavoratori “atipici”, secondo cui il dipendente part-time non deve ricevere un trattamento meno favorevole rispetto a quello dei colleghi a tempo pieno.
Al riguardo, anche la Corte di Giustizia UE, con la sentenza 10.6.2010, ha sancito che l’anzianità contributiva dei part-time, ai fini del diritto a pensione, deve essere calcolata come se il dipendente avesse occupato un posto a tempo pieno, prendendo in considerazione anche i periodi non lavorati.

Controllo a distanza dei dipendenti – Condizioni e limiti (Cass. 8.11.2016 n. 22662)

La Corte di Cassazione, con la sentenza 8.11.2016 n. 22662, ha affrontato il tema dei limiti di legittimità dei c.d. controlli difensivi (art. 4 della L. 300/70 precedente le modifiche), finalizzati non a verificare l’esatto adempimento delle obbligazioni direttamente scaturenti dal rapporto di lavoro, ma a tutelare il patrimonio aziendale e/o ad impedire la perpetrazione di comportamenti illeciti.
I giudici di legittimità hanno affermato che i controlli difensivi, nel testo vigente all’epoca dei fatti, richiedono certamente il previo accordo con le rappresentanze sindacali aziendali, ma solo nel caso in cui da essi derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori.
In tal modo, si escludono dall’applicazione dell’art. 4 della L. 300/70 i controlli diretti ad appurare comportamenti estranei all’esatto adempimento delle obbligazioni discendenti dal rapporto di lavoro ovvero alla tutela di beni esterni al rapporto stesso.
Alla luce di tali principi, la Suprema Corte ha quindi dichiarato legittimo il licenziamento operato nei confronti di una dipendente che aveva sottratto una busta contenente denaro dalla cassaforte aziendale, sfilandola dalla fessura con un tagliacarte. La condotta era stata registrata in un filmato impresso da una telecamera preposta al controllo della predetta cassaforte e utilizzato a fini disciplinari.

Iva intracomunitaria – Attività del cessionario cessata prima dell’emissione della fattura – Regime di non imponibilità (C.T. Reg. Firenze 20.9.2016 n. 1577/5/16)

Secondo quanto affermato con sentenza C.T. Reg. Firenze 20.9.2016 n. 1577/5/16, non è legittimo il regime di non imponibilità IVA previsto per le cessioni intracomunitarie nel caso in cui il cedente abbia riportato in fattura il numero identificativo VIES di un cessionario la cui attività è cessata, laddove non sia fornita prova del trasferimento intracomunitario dei beni.
Per quanto attiene all’obbligo di indicare in fattura il codice identificativo del cessionario, la Corte di Giustizia Ue, in più occasioni, ha evidenziato come si tratti di un requisito formale che non può giustificare il venir meno del diritto alla detassazione IVA dell’operazione (cfr. cause C-273/11 e C-587/10).
Secondo la sentenza della C.T. Reg. Firenze, invece, era onere del cedente fornire indicazioni in merito allo status di soggetto passivo del cessionario, avendo riportato in fattura il codice identificativo IVA appartenente a un soggetto cessato.
Non poteva essere riconosciuto il regime di non imponibilità IVA giacché, nella fattispecie, il cedente nemmeno aveva fornito la prova del trasferimento dei beni dall’Italia nello Stato Ue di destinazione (condizione, quest’ultima, riconosciuta come sostanziale anche dalla giurisprudenza comunitaria).

Vizio di notifica della cartella di pagamento – Ricorso notificato alla sola Agenzia delle Entrate (Cass. 9.11.2016 n. 22729)

La legittimazione processuale passiva dell’ente impositore spetta anche quando il contribuente, nel ricorso contro l’avviso di mora o l’intimazione ad adempiere, lamenti il vizio di notifica dell’atto prodromico, rappresentato dalla cartella di pagamento.
Non può quindi essere eccepito che, nella specie, la legittimazione spetta unicamente all’Agente della riscossione.
Insieme a tale principio, Cass. 9.11.2016 n. 22729 specifica che ciò, tra l’altro, emerge dalla circ. Agenzia delle Entrate 17.7.2008 n. 51, in cui gli uffici sono stati esortati, in fattispecie del genere, a chiamare in causa l’Agente della riscossione, in modo che questi possa depositare in giudizio i documenti probativi della notifica.

Mancata notifica preventiva della comunicazione di irregolarità – Nullità della cartella (C.T. Reg. Liguria 711/2/2016)

Secondo la C.T. Reg. Liguria 711/2/2016, qualora a seguito del controllo automatizzato emerga una discrasìa con i dati dichiarati, la cartella di pagamento è nulla se al contribuente non è stata preventivamente notificata una comunicazione di irregolarità (avviso bonario).
Nel caso di specie, la cartella di pagamento traeva origine dal disconoscimento di un credito IVA maturato nell’anno 2007 e riportato nella dichiarazione per l’anno 2008, in quanto la dichiarazione IVA per l’anno 2007 è stata presentata “in bianco” a causa di un errore nel sistema informatico.
I giudici della commissione richiamano il consolidato orientamento della Corte di Cassazione (cfr., tra le altre, le sentenze nn. 8154/2015 e 3153/2015) secondo cui l’emissione della cartella di pagamento a seguito di un controllo automatizzato della dichiarazione non è sempre condizionata alla preventiva comunicazione al contribuente dell’esito del controllo. Infatti, ai sensi dell’art. 6 co. 5 della L. 212/2000, l’obbligo di comunicazione vige soltanto “qualora sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione”; in altri termini, la legge prevede l’emissione di un’apposita comunicazione di irregolarità soltanto nel caso di un risultato diverso rispetto a quello dichiarato.
Per la C.T. Reg., nel caso in esame, si era in presenza di un “errore sostanziale”, posto che il contribuente aveva lasciato in bianco la dichiarazione dei redditi presentata per l’anno 2007 e risultava impossibile riscostruire il credito IVA riportato nella dichiarazione per l’anno 2008; sussisteva, pertanto, l’obbligo per l’ufficio di notificare al contribuente una comunicazione di irregolarità prima di procedere con l’iscrizione a ruolo.
In mancanza di tale formalità, la cartella di pagamento è stata dichiarata insanabilmente nulla.

IVA erroneamente addebitata su operazioni non imponibili – Esclusione del diritto alla detrazione (C.T. Reg. Lombardia 5029/27/2016)

Con la sentenza n. 5029/27/16 del 3.10.2016, la C.T. Reg. Lombardia ha stabilito che, nell’ipotesi in cui il cedente o prestatore abbia emesso fattura applicando erroneamente l’IVA per un’operazione soggetta al regime di non imponibilità, il destinatario della stessa non può esercitare il diritto alla detrazione dell’imposta. Nel caso di specie, si trattava di prestazioni di intermediazione relative a operazioni di esportazione di beni.
Viene ribadito, in tal modo, il principio espresso dalla Corte di Giustizia Ue nella sentenza del 13.12.89, relativa alla causa C-342/87, secondo cui l’esercizio del diritto alla detrazione dell’IVA non si estende all’imposta dovuta dal cedente o prestatore ai sensi dell’art. 21 co. 7 del DPR 633/72, ossia per il solo fatto di essere indicata in fattura. Pertanto, al destinatario della fattura con IVA erroneamente addebitata è consentito recuperare l’imposta assolta non esercitando la detrazione della stessa, bensì chiedendo al fornitore la restituzione dell’indebito; il soggetto che ha emesso la fattura, invece, potrà richiedere il rimborso dell’IVA all’Erario.

Rettifica del valore degli immobili – Valori OMI – Imposta di registro (Cass. 26.10.2016 n. 21569)

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 21569 del 26.10.2016, ha statuito che, in riferimento alle rettifiche ai fini dell’imposta di registro, le quotazioni Omi sono mere presunzioni che, di per sé, non possono fondare la pretesa impositiva.
In particolare, secondo i giudici di legittimità:
– l’onere probatorio, in tema di imposte derivanti dalla compravendita di immobile, incombe sull’ufficio, il quale deve accertare il valore venale in comune commercio cui applicare la conseguente tassazione;
– la base imponibile deve considerare la natura, la consistenza e l’ubicazione dei beni, oltre che le caratteristiche delle aree, anche in relazione allo strumento urbanistico e allo stato delle opere di urbanizzazione, attraverso l’esame di immobili similari trasferiti non oltre il triennio precedente;
– i valori Omi sono stime presuntive e indiziarie inidonee da sole a rettificare il prezzo indicato in atto, occorrendo ai fini dell’accertamento, che siano integrate da altri elementi probatori a dimostrazione della loro attendibilità.

Accesso presso l’abitazione del contribuente – Legittimità – Condizioni (C.T. Reg. Bologna 31.5.2016 n. 1417/11/16)

La C.T. Reg. Bologna, con la sentenza 31.5.2016 n. 1417, ha affermato che i documenti acquisiti nel corso di un controllo della Guardia di Finanza in locali diversi da quelli adibiti allo svolgimento dell’attività non possono essere utilizzati dall’Amministrazione finanziaria a fondamento della pretesa tributaria laddove l’autorizzazione del Pubblico Ministero non abbia motivato circa il concorso di gravi indizi dell’illecito fiscale (come dispone l’art. 52 del DPR 633/72).
Spetta al giudice tributario:
– verificare che il provvedimento autorizzativo emesso dal PM faccia riferimento a elementi cui l’ordinamento attribuisca valenza indiziaria, non attribuibile – come nel caso di specie – a notizie apprese da fonti anonime, oppure genericamente indicate o non individuabili;
– se del caso, riconoscere l’illegittimità dell’autorizzazione e dichiarare inutilizzabili ai fini del recupero fiscale gli elementi di prova acquisiti nel corso dell’accesso.

Autonoma organizzazione – Utilizzo di beni strumentali costosi ed erogazione di compensi occasionali a terzi – Irrilevanza (Cass. 12.10.2016 n. 20610)

Con l’ordinanza 12.10.2016 n. 20610, la Corte di Cassazione ha affermato che la disponibilità da parte di un medico (nel caso specifico, specialista in oftalmologia) di beni strumentali anche di un certo rilievo economico non è idonea a configurare il presupposto dell’autonoma organizzazione, in quanto detti beni, anche se consistenti, rientrano nelle attrezzature usuali per tale categoria di professionisti. Tale impostazione appare maggiormente condivisibile rispetto a quella che vede, nell’elevato valore delle attrezzature utilizzate, tout court un indice di autonoma organizzazione (cfr. Cass. 21989/2014 e 5320/2012).
Sempre nella pronuncia in esame, i giudici di legittimità hanno sostenuto che non è sufficiente, per integrare il presupposto oggettivo dell’IRAP, il pagamento, da parte del contribuente, di compensi a terzi non inseriti nella struttura organizzativa del professionista, e le cui prestazioni non abbiano carattere continuativo

Cessione della totalità delle quote sociali – Riqualificazione dell’atto in cessione d’azienda (C.T. Reg. Firenze 7.7.2016 n. 1252/13/16)

La C.T. Reg. Firenze, nella sentenza 7.7.2016 n. 1252/13/2016, ha affermato, facendo applicazione dell’art. 20 del DPR 131/86, che l’atto con il quale viene ceduto ad un terzo il 100% delle quote di partecipazione ad una società può essere riqualificato in atto di cessione di azienda. Pertanto, tale atto non dovrebbe scontare l’imposta di registro fissa previsa per la cessione di quote, ma dovrebbe pagare l’imposta proporzionale prevista per la cessione di azienda. Secondo la Commissione, infatti, il “risultato pratico” dei due atti sarebbe il medesimo.