La Cassazione, con la sentenza 20.5.2016 n. 10467, ha ribadito quanto già affermato dalle Sezioni Unite, sentenza 21.8.2009 n. 18565, relativa alla verifica della sussistenza del requisito di ruralità dei fabbricati.
Nello specifico, si afferma la necessità di distinguere due ipotesi a seconda delle risultanze catastali:
– se l’accatastamento qualifica il fabbricato come rurale e non è stato impugnato né dal contribuente né dal Comune, la questione relativa alla sussistenza della ruralità non può essere messa in discussione nel giudizio sull’ICI;
– se il fabbricato è privo di rendita catastale, spetta al giudice investito della controversia relativa all’ICI il compito di verificare l’esistenza delle condizioni di ruralità, fermo restando l’onere della prova in capo al contribuente.
Quindi, l’immobile iscritto nel Catasto fabbricati come rurale, con l’attribuzione della relativa categoria (A/6 o D/10), non è soggetto all’imposta.
L’attribuzione all’immobile di una diversa categoria catastale deve essere invece impugnata specificamente dal contribuente che pretenda la non soggezione all’imposta per la ritenuta ruralità del fabbricato, restando altrimenti quest’ultimo assoggettato ad ICI.
Ipoteca – Beni iscritti in un fondo patrimoniale – Legittimità (Cass. 25.6.2016 n. 10794)
La Cassazione, con la sentenza n. 10794 del 25.5.2016, ha statuito l’inapplicabilità dell’art. 170 c.c. all’iscrizione dell’ipoteca ex art. 77 del DPR 602/73.
Secondo i giudici di legittimità, è legittima l’iscrizione ipotecaria eseguita, ex art. 77 del DPR 602/73, su beni oggetto del fondo patrimoniale, in ragione del fatto che l’ipoteca esattoriale:
– non ha natura di atto preordinato all’espropriazione;
– è atto riferito ad una procedura alternativa all’esecuzione forzata vera e propria.
In particolare, la Cassazione, accogliendo l’orientamento espresso dalle Sezioni Unite (SS.UU. n. 15354/2015 e SS.UU. n. 19667/2014), non ritiene che l’iscrizione ipotecaria esattoriale possa rientrare tra gli atti esecutivi, bensì tra le misure cautelari, essendo l’ipoteca solo propedeutica ad una eventuale, e non ancora certa, fase esecutiva.
Licenziamento individuale – Azione disciplinare – Tempestività dell’avvio (Cass. 19.5.2016 n. 10356)
Con la sentenza 10356/2016, la Corte di Cassazione ha affermato il principio secondo cui il requisito della tempestiva promozione di una iniziativa disciplinare non va valutato facendo riferimento all’epoca della astratta conoscibilità degli inadempimenti del lavoratore, ma al momento successivo in cui il datore di lavoro ne ha acquisito piena conoscenza.
Inoltre, per la Suprema Corte non è sufficiente neppure il mero sospetto della sussistenza dei predetti illeciti disciplinari, in quanto il datore di lavoro si troverebbe nella condizione di anticipare la sanzione in presenza di semplici e generici elementi indiziari, senza una completa conoscenza dei fatti che consentano di accertare e valutare in tutta la sua portata l’eventuale inadempienza del lavoratore.
Nel caso in esame risulta pertanto legittimo il licenziamento di un dipendente di un’assicurazione in seguito a gravi irregolarità commesse dallo stesso nel liquidare diversi sinistri, e a nulla vale la tesi difensiva secondo cui era da ritenersi tardiva l’azione disciplinare effettuata dal datore di lavoro dopo un anno e mezzo dalla scoperta delle violazioni.
Per i giudici di legittimità, infatti, tale vizio di tardività non sussiste in quanto gli illeciti disciplinari erano stati scoperti nella loro complessiva portata solo all’esito delle indagini svolte dai revisori della società in sede di audit.
IVA dovuta dalla parte soccombente in aggiunta all’onorario e alle spese processuali – Condizioni
Ai sensi dell’art. 15 del DLgs. 546/92, in caso di soccombenza la parte vittoriosa ha diritto alla restituzione delle spese processuali, incluse le imposte che ne fanno parte, quindi contributo unificato e IVA.
In merito all’IVA, però, bisogna sempre tenere conto della neutralità del tributo, quindi l’IVA deve essere compresa nella restituzione solo se la parte vittoriosa non è un soggetto IVA oppure non può detrarre, essendo questa un costo. Di contro, se la parte vittoriosa esercita la detrazione, l’IVA è stata pagata al difensore e detratta, quindi viene meno la necessità di restituzione (da ultimo, Cass. 8.11.2012 n. 19300).
Ciò salvo espressa statuizione di condanna nella sentenza del giudice.
Trattamento di fine mandato amministratori – Diritto all’indennità non deliberato – Deducibilità – Condizioni (C.T. Reg. Perugia 27.4.2016 n. 207/3/2016)
Ad avviso della C.T. Reg. Perugia 27.4.2016 n. 207/3/2016, l’accantonamento di fine mandato degli amministratori è deducibile secondo il principio di competenza e non per cassa e, a tal fine, non occorre necessariamente una delibera, poiché la data della loro nomina può desumersi anche da altri elementi.
I giudici hanno rilevato che, sulla base dell’art. 105 del TUIR, per gli accantonamenti relativi all’indennità di fine rapporto per gli amministratori vale il principio di competenza, al pari di quanto avviene per il trattamento di fine rapporto del personale dipendente.
La sentenza ha, inoltre, ritenuto che la certezza della nomina degli amministratori può desumersi non solo da una delibera ma anche da altri atti “fidefacenti”.
Verifica del superamento del tasso soglia di usura – Interessi di mora (Trib. Torino 27.4.2016)
Il Tribunale di Torino, con una sentenza del 27.4.2016, affronta una questione concernente le condizioni alle quali gli interessi di mora entrano nella determinazione della usurarietà del tasso applicato dalla banca al cliente.
In particolare, secondo il giudice:
– finché non si verifica l’inadempimento che fa scattare la mora (o non si verifica un ritardo protratto per il tempo necessario a determinare lo sforamento usurario), l’eventuale previsione usuraria legata alla mora è puramente virtuale e, pertanto, non può esplicare alcun effetto;
– ragionare diversamente implicherebbe eleggere a priori il worst case come selezionatore di usura nella più o meno vasta gamma dei casi possibili tra usurari e non.
Inoltre, anche in caso di reale applicazione della mora, non può darsi usura se la somma addebitabile è insignificante rispetto alla massa degli interessi corrispettivi dovuti.
Infine, sul piano del riparto della prova, ai sensi dell’art. 2697 c.c., il giudice stabilisce che spetta al cliente la dimostrazione che “il concreto svolgimento del rapporto ha spostato la bilancia sul piatto dell’usura”.
Indagini finanziarie – Richiesta di esibizione documenti – Termine inferiore a trenta giorni (C.T. Prov. Milano 22.4.2016 n. 3677/40/16)
Ai sensi dell’art. 32 co. 2 del DPR 600/73, le richieste degli uffici finanziari al contribuente, come ad esempio l’invito a comparire per fornire giustificazioni sulle movimentazioni bancarie che si presumono non giustificate, devono prevedere un termine minimo per l’adempimento.
C.T. Prov. Milano 22.4.2016 n. 3677/40/16 ha sancito che se il termine non è rispettato, l’accertamento, per derivazione, è nullo.
Tuttavia i giudici errano nell’individuazione del termine, che è di quindici e non di trenta giorni; i trenta giorni, infatti, sono relativi alla richiesta dati nei confronti degli istituti finanziari, non del contribuente accertato.
Diritto camerale – Termine prescrizionale di recupero per le Camere di Commercio (C.T. Prov. Caltanissetta 20.1.2016 n. 60/01/2016)
La C.T. Prov. Caltanissetta, con la sentenza 20.1.2016 n. 60/01/2016, ha affermato che, non esistendo una norma che preveda uno specifico termine, le Camere di Commercio possono procedere al recupero del diritto camerale annuale dovuto entro il termine ordinario di prescrizione di dieci anni.
Nel caso specifico, la controversia verteva sull’impugnazione di un recupero del tributo relativo all’anno 2008.
Precisato quanto sopra, in applicazione dell’art. 18 co. 4 lett. c) della L. 29.12.93 n. 580 e dell’art. 3 co. 1 del DM 11.5.2001 n. 359, i giudici hanno sostenuto la legittimità della pretesa tributaria poichè, nel mese di gennaio 2008, l’impresa risultava ancora iscritta nel Registro delle imprese (la domanda di cancellazione, infatti, era stata presentata solo nel mese di febbraio).
Redditometro -Prova contraria – Incrementi patrimoniali – Orientamenti della Corte di Cassazione
Relativamente al redditometro, specie per il sistema antecedente al DL 78/2010, in base agli ultimi orientamenti giurisprudenziali, è possibile affermare che:
– i parametri dei DM 24.12.2012 e 16.9.2015 non possono operare retroattivamente, stante l’art. 22 del DL 78/2010 (per tutte, Cass. 20.4.2016 n. 8009);
_ sugli incrementi patrimoniali, ha rilievo l’effettivo esborso monetario, quindi, ad esempio, di per sè non ha valore l’acquisto dell’immobile mediante accollo dei debiti del venditore, ma, semmai, l’estinzione dei debiti accollati (Cass. 10.9.2014 n. 19030);
– sempre in tema di incrementi patrimoniali, non rilevano, per l’imputazione a ritroso del quinto, gli investimenti di anni successivi a quello accertato (Cass. 12.4.2016 n. 7147);
– non c’è unanimità di opinioni sulla possibilità di contestare l’entità delle spese attribuite dal DM 10.9.92 (per la tesi positiva, Cass. 17.6.2011 n. 13289, Cass. 20.12.2012 n. 23554; contra Cass. 12.4.2016 n. 7149).
In quest’ultima fattispecie, l’accoglimento della tesi negativa rende impossibile la difesa del contribuente.
Pensione di reversibilità – Spettanza all’ex coniuge – Condizioni (Cass. 5.5.2016 n. 9054)
La Corte di Cassazione, con la sentenza 5.5.2016 n. 9054, ha affermato che la pensione di reversibilità non spetta all’ex coniuge che, in sede di divorzio, abbia accettato di ricevere l’assegno divorzile in un’unica soluzione. In tal caso, egli rinuncia all’eventuale pensione di reversibilità del coniuge deceduto, dal momento che il pagamento del mantenimento “una tantum” fa venire meno, in capo al beneficiario, qualsiasi ulteriore diritto di contenuto patrimoniale nei confronti dell’altro coniuge. I giudici di legittimità hanno così deciso nel merito, respingendo il ricorso proposto dall’ex moglie del de cuius che pretendeva dall’INPS il versamento della pensione di reversibilità dell’ex coniuge, dal momento che la donna, in sede di divorzio, aveva ottenuto il diritto di abitare nella casa di proprietà del marito, il comodato sui mobili e il versamento in un’unica soluzione di un assegno a titolo di mantenimento, rinunciando espressamente al mantenimento mensile che era già stato previsto in sede di separazione.
Per beneficiare della pensione di reversibilità del de cuius, è necessario che:
-il coniuge superstite sia titolare dell’assegno di divorzio e non si sia risposato;
-il rapporto di lavoro da cui trae origine il trattamento pensionistico sia anteriore alla sentenza di divorzio.
Secondo la Corte, infatti, se le pretese dell’ex coniuge superstite sono state soddisfatte in un’unica soluzione e così approvate dalla sentenza di scioglimento del matrimonio, riconoscergli anche la pensione di reversibilità del de cuius significherebbe metterlo in una condizione migliore rispetto a quella di cui godeva quando l’ex coniuge era in vita, epoca in cui non percepiva, appunto, alcun assegno periodico.