Secondo quanto afferma la Commissione Tributaria regionale dell’Emilia Romagna con la sentenza 27.10.2017 n. 2971/2/17, è illegittimo l’accertamento sintetico che considera, ai fini della determinazione del reddito dell’anno 2007, sia le spese per incrementi patrimoniali effettuate negli anni successivi a quello accertato (imputando il quinto a ritroso), sia le spese gestionali di matrice statistica che il contribuente afferma di aver coperto con liberalità avute dal padre.
Con riferimento alle prime, occorre applicare la disciplina antecedente alle modifiche apportate dall’art. 22 del DL 78/2010 all’art. 38 co. 4 e 5 del DPR 600/73, in base alla quale la spesa per incrementi patrimoniali si presume effettuata, per quote costanti, nell’anno in cui è stata sostenuta e nei quattro precedenti (bisogna quindi partire dall’anno accertato per poi imputare il quinto a ritroso, non dagli anni successivi; in questo senso, Cass. 12.4.2016 n. 7147).
Con riferimento alle seconde, non è possibile pretendere che il contribuente dimostri di aver utilizzato le liberalità ricevute dal padre proprio per sostenere le spese gestionali imputate dal redditometro.
Fondo di garanzia – Crediti di lavoro diversi dal TFR – Termine di decorrenza della prescrizione – Effetto interruttivo della domanda di insinuazione al passivo – Esclusione (Cass. 21.12.2017 n. 30712)
Con riferimento ai casi in cui la legge prevede l’intervento del Fondo di Garanzia (art. 1 del DLgs. 80/1992), la Corte di Cassazione, con la sentenza 21.12.2017 n. 30712, ha ribadito che:
– la prescrizione del diritto del lavoratore al pagamento, a carico del Fondo, delle mensilità aggiuntive afferenti gli ultimi tre mesi del rapporto di lavoro – previsto dall’art. 2 del DLgs. 80/1992 – decorre dal momento in cui si sono verificati i presupposti che condizionano la proponibilità della domanda all’INPS;
– l’insinuazione al passivo proposta nei confronti del datore di lavoro assoggettato a procedura concorsuale non interrompe la prescrizione nei confronti dell’INPS, per il diverso credito relativo alle prestazioni a carico del Fondo.
Architetto dipendente pubblico che svolge anche attività autonoma – Iscrizione e obbligo contributivo alla Gestione separata INPS (Cass. 18.12.2017 n. 30345)
Alla luce del combinato disposto dell’art. 2 co. 26 della L. 335/95 e dell’art. 18 co. 12 del DL 98/2011 (conv. L. 111/2011) – in base al quale sono tenuti ad iscriversi alla Gestione separata tutti coloro che esercitino per professione abituale, ancorché non esclusiva, attività di lavoro autonomo per cui non siano soggetti all’iscrizione in un Albo ovvero per cui, nonostante l’iscrizione ad un Albo, non debbano versare ad una Cassa di categoria contributi che determinino la creazione di una posizione previdenziale – la Corte di Cassazione, con la sentenza 18.12.2017 n. 30345, ha affermato che, poiché lo Statuto di INARCASSA esclude dalla possibilità di iscrizione coloro che, pur essendo iscritti all’Albo e in possesso di partita IVA, risultino iscritti ad un’altra forma di previdenza obbligatoria in dipendenza dell’esercizio di un’altra attività, l’architetto dipendente pubblico che svolga anche la professionale, in relazione ai redditi professionali, ha l’obbligo di iscriversi e pagare i contributi alla suddetta Gestione, istituita presso l’INPS.
A nulla rileva, secondo la Suprema Corte – che sul punto ribalta la decisione dei giudici di merito – il versamento alla Cassa del contributo integrativo.
Immobile occupato abusivamente – Esenzione dall’IMU e dalla TASI – Condizioni (C.T. Prov. Roma nn. 25506/2017 e 26532/2017)
La C.T. Prov. di Roma ha riconosciuto l’esenzione da IMU e dalla TASI a una società che di fatto ha perso da anni la disponibilità del proprio immobile, in seguito a un’occupazione abusiva.
Con due sentenze gemelle, infatti (le nn. 25506/2017 e 26532/2017), i giudici hanno enunciato un nuovo principio secondo cui il proprietario di un immobile occupato abusivamente non è assoggettato né all’IMU né alla TASI in considerazione del fatto che le imposte locali sono dovute in conseguenza dell’effettivo possesso dell’immobile. Il possesso, per essere effettivo, deve permettere al proprietario di “ripristinare il contatto materiale con il bene quando lo voglia”. Tale circostanza non è ravvisabile nel caso di immobili occupati abusivamente.
Indennizzo percepito a fronte di accordi transattivi con la banca – Esclusione dal reddito (ris. Agenzia delle Entrate 18.12.2017 n. 153)
In base alla ris. Agenzia delle Entrate 18.12.2017 n. 153, le somme corrisposte da una banca in liquidazione coatta amministrativa ai propri soci, a fronte della stipula di accordi transattivi relativi a pretese risarcitorie che i soci avrebbero potuto vantare in relazione agli investimenti effettuati, non assumono rilevanza reddituale ai sensi dell’art. 6 co. 2 del TUIR in quanto volte a reintegrare “forfetariamente” la perdita economica patrimoniale (“danno emergente”) subita dal percettore a fronte delle condotte poste in essere dalla banca.
Nel caso di specie, gli accordi stabilivano l’erogazione di un indennizzo quale ristoro del danno da investimento disinformato, non corretta applicazione della disciplina relativa all’attività di intermediazione, mancata pubblicazione di un prospetto informativo, mancato disinvestimento, irregolarità formali dei contratti o collocamento fuori sede di strumenti finanziari.
Per l’Agenzia, l’esame delle suddette fattispecie porta a concludere che la pretesa risarcitoria dei soci abbia ad oggetto il ristoro di un “danno emergente” di natura patrimoniale, cagionato da condotte poste in essere dalla banca e riconducibili alla violazione degli obblighi di informazione, diligenza, correttezza e trasparenza previsti dal TUF (DLgs. 58/98). Peraltro, l’indennizzo non risulta parametrato in alcun modo alla mancata percezione dei proventi derivanti dai titoli o alla perdita di valore degli stessi, bensì risulta determinato in misura forfetaria (cfr. anche ris. Agenzia delle Entrate 12.1.2017 n. 3).
Licenziamento durante il periodo di prova – Forma (Cass. 12.12.2017 n. 29753)
Con la sentenza 12.12.2017 n. 29753, la Corte di Cassazione ha puntualizzato che il requisito della forma scritta per il licenziamento durante il periodo di prova:
– non è prescritto dalla legge, a differenza di quanto stabilito, in generale, dall’art. 2 della L. 604/66 per il recesso da parte del datore di lavoro;
– nelle ipotesi in cui sia richiesto dal contratto di assunzione, è rispettato – in assenza della previsione di modalità specifiche – con qualunque modalità che comporti la trasmissione al destinatario del documento scritto nella sua materialità (ad esempio, come nella specie, tramite una comunicazione via mail di cui sia dimostrata la ricezione da parte del lavoratore).
IRAP – Autonoma organizzazione – Dipendente assunto per la sostituzione di altro dipendente in maternità – Irrilevanza – Condizioni (Cass. 17.11.2017 n. 27378)
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza 17.11.2017 n. 27378, ha affermato che non è soggetto ad IRAP il professionista che ha assunto due dipendenti, qualora il secondo sia stato assunto temporaneamente in sostituzione del primo in maternità.
In pratica, secondo i giudici di legittimità, ai fini dell’assoggettamento ad imposta rileva la presenza contemporanea di due dipendenti.
Omessa attestazione dei requisiti prima casa – Rimborso della maggiore IVA pagata in rivalsa – Soggetto legittimato
L’Amministrazione finanziaria ha diverse volte specificato che, se gli acconti, in occasione del contratto preliminare, sono stati fatturati al 10% in quanto, ad esempio, l’acquirente non aveva fatto presente la sussistenza dei requisiti per poter fruire della agevolazione prima casa, è possibile emettere una nota di credito di sola IVA in occasione dell’atto, anche spirato il termine dell’art. 26 del DPR 633/72, applicando la corretta aliquota del 4% (R.M. 7.12.2000 n. 187).
Riteniamo che, in base a questo principio, se, in atto, per dimenticanza non sono stati attestati i requisiti “prima casa” (e, per questo motivo, in fattura è stata applicata l’aliquota del 10%) sia possibile, dopo la stipula di un atto integrativo:
– l’emissione di una nota di credito di sola IVA anche spirato il termine dell’art. 26 del DPR 633/72;
– o, qualora la nota di credito non possa/voglia essere emessa dalla controparte, la domanda di rimborso ad opera dell’acquirente all’Erario nel rispetto del termine biennale dell’art. 21 del DLgs. 546/92, decorrente dal momento in cui l’IVA è stata pagata in rivalsa.
Abitazioni tenute a disposizione – Determinazione della tariffa rifiuti – Principio “chi inquina paga” (C.T. Prov. Massa Carrara 4.7.2017 n. 182/1/17 e Consiglio di Stato 6.9.2017 n. 4223)
Nella sentenza 4.7.2017 n. 182/1/17, la C.T. Prov. di Massa Carrara ha affermato che, con riferimento alle c.d. “seconde case”, la TARI deve essere calcolata sulla base della reale quantità di rifiuti conferiti dall’utente, in ossequio quindi al principio comunitario “chi inquina paga” stabilito dall’art. 14 della direttiva n. 2008/98/CE.
Di conseguenza, è stata ritenuta illegittima e iniqua la tassazione “piena” applicata dall’amministrazione comunale alla residenza secondaria del contribuente, utilizzata per frazione d’anno riferibile ai soli mesi estivi.
In relazione alla tariffa di igiene ambientale (c.d. TIA1), inoltre, il Consiglio di Stato, nella sentenza 6.9.2017 n. 4223, ha ritenuto illegittimo sia il regolamento che la deliberazione comunale relativa al 2005 nella parte in cui per le utenze domestiche è stato stabilito di addossare il peso della TIA1 prevalentemente (oltre il 66%) alle utenze intestate a soggetti non residenti nel Comune.
Secondo il supremo Collegio, la decisione dell’ente locale di suddividere la categoria delle utenze domestiche in due sub-categorie, residenti e non residenti (facendo pagare una tassa più alta ai non residenti) contrasta non soltanto con il principio di proporzionalità, ma anche con il principio comunitario “chi inquina paga” menzionato.
Licenziamento intimato durante il periodo di comporto per malattia o infortunio – Illegittimità – Condizioni – Orientamenti giurisprudenziali (Cass. 19.10.2017 n. 24766)
Se il licenziamento intimato al lavoratore durante il periodo di malattia, anche per cause diverse dal superamento del periodo di comporto, sia inefficace o nullo, è il quesito sollevato dalla Corte di Cassazione davanti alle Sezioni Unite, con l’ordinanza 19.10.2017 n. 24766.
Sul punto, l’orientamento giurisprudenziale è duplice, in quanto se da un lato la giurisprudenza prevalente della Cassazione ritiene valido il licenziamento per giustificato motivo intimato nel periodo di malattia, risultando solo sospesa l’efficacia dell’atto unilaterale fino al venir meno della situazione, dall’altro si contrappone il filone giurisprudenziale in base al quale, invece, il licenziamento comunicato in costanza di malattia è affetto da nullità, con conseguente diritto alla reintegrazione del lavoratore. Secondo questo orientamento, in caso di licenziamento intimato anteriormente alla scadenza del comporto stesso, l’atto di recesso è nullo per violazione di una norma imperativa, ossia l’art. 2110 c.c., che vieta il licenziamento stesso in costanza della malattia del lavoratore.