Tra le diverse fattispecie riconducibili all’ipotesi del licenziamento per impossibilità sopravvenuta ai sensi dell’art. 1464 c.c., si segnala la carcerazione del lavoratore per fatti estranei al rapporto di lavoro.
Tale fattispecie ricade infatti nell’ipotesi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo ex art. 3 della L. 604/66 e, ai fini della legittimità del recesso, occorre dimostrare il venir meno in capo al datore di lavoro dell’interesse alla prosecuzione del rapporto in relazione alle ragioni inerenti all’organizzazione e al regolare funzionamento dell’attività produttiva.
Nel merito, è intervenuta più volte la giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 14469/2013, Cass. n. 19315/2016 e Cass. n. 6714/2021), evidenziando in diversi casi l’intollerabile periodo di mancata esecuzione della prestazione lavorativa per il fatto imputabile al lavoratore, ossia quello che ha conseguito la sua carcerazione.
Secondo tale orientamento giurisprudenziale, l’impossibilità sopravvenuta parziale per fatti estranei al rapporto di lavoro non costituisce inadempimento degli obblighi contrattuali, ma consente il licenziamento laddove, in base a un giudizio “ex ante”, costituisca un giustificato motivo oggettivo di recesso, non persistendo l’interesse del datore di lavoro a ricevere le ulteriori prestazioni del dipendente