Con riferimento ai casi di risoluzione del rapporto di lavoro, l’art. 2 co. 5 della L. 297/82 stabilisce che, qualora il datore di lavoro non adempia alla corresponsione del TFR dovuto, il lavoratore può chiedere all’apposito Fondo di garanzia istituito presso l’INPS il pagamento dell’importo di cui ha diritto.
Tuttavia l’intervento del citato Fondo non è così automatico, dal momento che lo stesso INPS ha spesso negato il diritto al rimborso laddove i lavoratori interessati non avessero fornito la prova di avere esperito tutte le azioni esecutive astrattamente e concretamente praticabili nei confronti del datore di lavoro/debitore.
Sul punto, è recentemente intervenuta la Corte di Cassazione con sentenza n. 8072/2016, stabilendo che in caso di insolvenza del datore di lavoro non soggetto alle disposizioni della legge fallimentare, è previsto l’intervento del Fondo di garanzia quando il lavoratore dimostri di avere esperito un’azione esecutiva che deve conformarsi all’ordinaria diligenza e che sia esercitata in modo serio ed adeguato.
Secondo la Suprema Corte, l’esigenza di tutela effettiva del credito emergente dalla L. 297/82 spinge a ritenere che il lavoratore abbia l’onere di dimostrare di essere stato diligente nel tentativo di recupero del proprio credito, ponendo in essere quelle azioni che avrebbero potuto, ragionevolmente, ottenere un risultato positivo, non certo anche quelle che appaiano infruttuose o aleatorie in un raffronto tra i loro costi ed i benefici futuri, valutati secondo un criterio di probabilità. Ad esempio, la richiesta di pignoramento mobiliare o di pignoramento presso terzi infruttuosi, sono azioni da ritenersi espressione di una diligenza sufficiente per attivare il Fondo di Garanzia.